Coronavirus, medici e cure a casa: cosa non funziona?

Un paziente su tre può essere seguito a domicilio, senza occupoare posti letto. Ma i test rapidi non vanno eseguiti dal dottore di famiglia. Oggi non succede. Ecco perché.

Cosa dovrebbe fare un paziente che sta male per sospetto Covid-19? Chiamare il suo dottore, che lo prende in carico, verifica la positività, poi raccoglie al telefono isintomi, offre consigli, eventualmente lo invia in ospedale per una valutazione oricovero urgente, altrimenti monitora la situazione e se necessario fa una visita a domicilio (o invia le Unità speciali di continuità assistenziale, le note Usca). Invece, nelle ultime settimane, un contagiato sutre, impaurito e abbandonato a casa, va a intasare i pronto soccorso, dove dovrebbero arrivare solo i pazienti Covid che richiedono una valutazione clinica complessa. Inoltre negli ospedali un malato su tre occupa posti letto anche se potrebbe essere curato a domicilio. Eppure in Italia ci sono 44mila medici di famiglia. Dove si inceppa il meccanismo?

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I doveri del dottore – La legge del 1978 dice: “L’assistenza medicogenerica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel Comune di residenza del cittadino”. Tra le due alternative, la scelta è caduta sulla libera professione in convenzione, vuol dire che il lavoro dei medici di famiglia è disciplinato da accordi collettivi triennali sottoscritti dalle loro rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni. Ogni prestazione aggiuntiva deve quindi passare da una contrattazione sindacale. L’accordo invigore prevede che lo studio debba essere aperto cinque giorni a settimana, e il numero di ore dipende dal numero di assistiti: va dalle cinque ore settimanali fino a 500 pazienti, alle 15 per 1.500 assistiti, numero massimo consentito. L’organizzazione delle visite acasa, comunque, poi spetta al medico. La paga forfettaria complessivamente arriva più o meno a86euro apaziente. Calcolando che ogni medico ha mediamente 1.200 assistiti, lo stipendio annuo è di circa 104.000 lordi. Le spese a loro carico.

Chi deve assistere i pazienti a casa – Per l’Agenzia italiana del farmaco, il medico di famiglia deve fare la “vigile attesa” nella fase domiciliare del paziente, etrattare di fatto solo i sintomi febbrili. Il decreto dell’8 aprile 2020 dice che devono sorvegliare a casa i pazienti fragili e cronici gravi. A Milano sono stati segnalati ai dottori dall’Ats 127.735 malati da contattare telefonicamente per verificare lanecessità di un supporto sociale, della terapia assunta e delle condizioni cliniche generali. L’incentivo previsto, 3euro a paziente. Ebbene, ne sono stati presi in carico solo 48.624. Gli altri 79.110 sono rimasti scoperti. Pazienti il cui rischio di morte, in assenza di vigilanza, è di otto volte superiore. Lo stesso decreto sollecita i medici del territorio a occuparsi dei loro pazienti in quarantena, o dimessi dagli ospedali ma non ancora guariti, attraverso il controllo telefonico o visite a domicilio.

Di fatto ognuno decide per se stesso: chi vuole lo fa (abbiamo visto medici prodigarsi oltre i limiti umani senza attendere il decreto), chi non vuole non lo fa. Va detto che la distribuzione di dispositivi di protezione individuale è arrivata con il contagocce, come anche la disponibilità di saturimetri (mentre gli strumenti minimi di diagnosi come l’ecografo toracico sono al momento non pervenuti). Per coprire questo “buco” di assistenza sono stati incaricati i Dipartimenti di prevenzione delle Asl di fare le telefonate quotidiane per verificare lo stato di salute (temperatura, grado di ossigenazione e test del cammino). Funziona un po’ sì e un po’ no, visto che il personale èsempre lostesso. Invece per le visite a domicilio sono state create le Usca: ma sulle 1.200 previste, e finanziate con 721 milioni di euro, ne sono state istituite, secondo gli ultimi dati disponibili dell’Università Cattolica (Altems), la metà.

I test rapidi al via – Intanto il virus corre. Per una identificazione veloce dei focolai e l’isolamento dei casi, il 28 ottobre l’accordo collettivo nazionale in vigore è stato integrato su proposta dei ministri Roberto Speranza e Francesco Boccia: i medici di base sono chiamati a fare i test antigenici rapidi ai loro pazienti sospetti e ai relativi contatti stretti asintomatici. La retribuzione aggiuntiva è dai 12 ai 18 euro a tampone. Il 4novembre ilcommissario straordinario Domenico Arcuri ha iniziato la distribuzione di 50 mila kit al giorno e oltre 3 milioni di pezzi asettimana di mascherine, visiere, guanti etute. A questo si aggiunge la dotazione delle Regioni. I medici che si rifiutano possono essere sottoposti a procedimento disciplinare.

Ma l’accordo è sottoscritto solo dalla Fimmg, che rappresenta il 63% dei medici di famiglia, e pure fra questi ci sono contrari. Il problema più ricorrente: gli studi sono dentro ai palazzi e i condomini si oppongono perché temono il va e vieni di contagiati. È però possibile farli in aree esterne messe a disposizione dai Comuni. Sta di fatto che la categoria è in subbuglio: in Lazio, per ora, hanno dato la disponibilità in 341 (su 4.600). In Veneto il governatore Luca Zaia ha firmato un’ordinanza: tutti i 3.198 medici di medicina generale sono obbligati a effettuare i test rapidi ai propri assistiti, pena la perdita della convenzione. Il numero di adesioni in Emilia Romagna è in alto mare, in Lombardia si conoscerà solo nei prossimi giorni.

Il giuramento di Ippocrate – Sono comprensibili le paure (la maggior parte di loro ha un’età compresa fra i 50 e 60 anni), e condivisibili i timori per il carico di responsabilità che nessuno ha definito, ma ogni medico il giorno della laurea giura “di prestare soccorso nei casi d’urgenza edi mettermi adisposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità”. Negli ospedali, abbiamo visto, nessuno è stato tanto lì a discutere. Quello che sappiamo è che, anche per la semplice richiesta di esecuzione del tampone tradizionale, da marzo a ottobre a Milano il 39% dei casi sospetti Covid ha dovuto arrangiarsi da solo, mentre quelli segnalati dai medici di base sono stati il 61%. Fra questi c’è chi si è tirato il collo (l’8% ha segnalato oltre 200 casi), e chi ha fatto il meno possibile (il 20% si è fermato a 50 casi). Comunque nell’accordo con i sindacati nulla èstato previsto sulle visite adomicilio che consentirebbero agli ospedali di mandare a casa un po’ di pazienti. Ci sono solo iniziative in ordine sparso.

I paradossi – Da mesi l’ordine è: potenziare lamedicina del territorio. Nei fatti, però, i medici di base sono considerati dall’inizio una categoria di serie B, per almeno tre ragioni. 1) La borsa di studio dei neolaureati che si iscrivono al corso di formazione triennale per diventare medici di famiglia èdi11mila euro l’anno, sono soggetti a Irpef e con contributi a carico; mentre quella per chi sceglie il corso di specializzazione è di 26 mila, contributi inclusi e senza Irpef. È evidente che il giovane laureato punterà alla specialità, anche se deve pagare 2.400 euro l’anno in media di retta universitaria. 2) Ne vengono formati sempre meno di quelli che servono: lo scorso anno 2.864 medici di medicina generale sono andati in pensione, ma sono solo 1.765 le borse di studio previste; nel 2020 scendono a 1.032 per sostituire 3.493 che quest’anno smettono l’attività. 3) Il finanziamento per i corsi di formazione triennale è di 38 milioni l’anno, la stessa cifra del 1989. Infine la totale mancanza di pianificazione: il concorso per le borse di studio del 2019 si è tenuto solo a fine ottobre 2019, i corsi di formazione dovevano iniziare a marzo 2020, ma a causa pandemia purtroppo sono slittati a fine settembre. Il concorso 2020 si terrà a gennaio 2021.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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