Coronavirus, l’immunologo Mantovani: “È iniziato il secondo tempo della partita”

Rilanciamo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal direttore scientifico dell’Istituto Humanitas.

«Contro il nuovo coronavirus stiamo giocando come in una partita di calcio. Abbiamo sofferto per tutto il primo tempo, in primavera, ma siamo rimasti in piedi, anche se a caro prezzo. Poi c’è stato l’intervallo (estivo, ndr) dove abbiamo un po’ respirato. Adesso è cominciato il secondo tempo». La metafora è di Alberto Mantovani, immunologo di fama mondiale, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore emerito dell’Humanitas University.

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Professor Mantovani, questo secondo tempo è cominciato malissimo a Milano, e in Lombardia, con un aumento esponenziale dei contagi.
«Premesso che non sono un epidemiologo, posso solo dire che forse avremmo potuto gestire meglio l’intervallo per prevenire quello che sta accadendo. Adesso, però, non dobbiamo perdere la concentrazione per non arrivare ai tempi supplementari o, addirittura, ai rigori. E lì si rischia proprio di perdere».

Per rimanere nella metafora calcistica, qual è lo schema di gioco da mettere in campo per contrastare il virus. Se non oggi (ferme restando le norme di prevenzione, quindi mascherine, distanziamento sociale, etc.), almeno domani?
«Un ruolo di primo piano l’hanno i ricercatori soprattutto nella genetica. Stiamo cercando di capire quali geni possono rendere le persone più vulnerabili al virus. Noi, come Humanitas, con altri gruppi italiani, ne abbiamo scoperto uno che ha a che fare con le chemochine, sostanze che intervengono nelle prime difese dell’organismo contro i virus».

Quindi, a parte i noti fattori di rischio che aggravano l’infezione da Sars-CoV-2, come età avanzata e malattie concomitanti, tipo diabete, obesità, problemi respiratori, esiste anche una predisposizione genetica?
«Sì. Il cromosoma incriminato è il numero 3. Altri lavori, oltre ai nostri, dimostrano che, nel 3-4 per cento dei pazienti con forme gravi, l’alterazione di certi geni, su questo cromosoma, fa sì che non venga prodotto interferone, una sostanza indispensabile nel contrastare, al primo attacco, le aggressioni virali».

Questi studi evidenziano come alterazioni sul cromosoma 3 siano più frequenti in certe popolazioni, per esempio nel Bangladesh, meno fra gli europei e ancora meno fra gli americani. Che ne pensa?


«Non dimentichiamo che, oltre alla genetica, incidono molto, sulla suscettibilità alla malattia, le condizioni socio-economiche: la povertà, innanzitutto».

C’è un altro spunto che ci arriva dagli studi genetici e riguarda i gruppi sanguigni AB0. Che cosa ci dicono?
«Sembrerebbe che le persone con gruppo sanguigno A vadano più facilmente incontro a una malattia grave, ma è tutto da dimostrare».

Tutte queste ricerche ci aprono spiragli per il futuro, anche per una medicina personalizzata. Che significa: trovare la cura giusta per il paziente giusto nel momento giusto. Ma hanno risvolti immediati?
«Certe applicazioni cliniche sono dietro l’angolo: per esempio la ricerca di biomarcatori che ci possono dire se una persona, colpita dall’infezione, è a rischio di andare incontro a forme gravi. All’Humanitas ci stiamo impegnando su questo fronte, anche usando l’intelligenza artificiale per la gestione dei dati dei pazienti. Non dimentichiamo, però, che sul nuovo coronavirus stiamo tutti lavorando da sette mesi, mentre nella ricerca di una medicina personalizzata contro il cancro, per dire, il tutto è cominciato trent’anni fa. E i risultati si stanno vedendo ora».

Oggi come oggi, però, ci stiamo affidando, per la cura dei pazienti, a farmaci classicissimi, come i cortisonici, più un antivirale, il remdesivir, l’unico autorizzato.
«Sì, è così. Il remdesivir funziona, ma occorre capire meglio in quali pazienti. Sempre nell’ottica di una medicina personalizzata».

E i cortisonici?
«In un primo momento c’era stata una raccomandazione da parte dei cinesi, avallata dall’Oms, di non usarli. Ma noi ci abbiamo creduto. E, infatti, è stato poi documentato che sono in grado di ridurre la mortalità nei pazienti gravi».

Si discute molto di anticorpi anti-virus. Che ne pensa?
«Gli anticorpi sono molecole prodotte fisiologicamente dal nostro sistema immunitario per difenderci dai germi. E possono anche diventare farmaci. Come? Recuperandoli dal sangue degli infetti. Al momento, però, le sperimentazioni sugli anticorpi da pazienti colpiti da Covid e somministrati ai malati, non hanno dato risultati positivi. L’alternativa: si possono fabbricare in laboratorio. E qui sono in corso studi clinici».

Prima della terapia la prevenzione. Come “allenare” il nostro sistema immunitario contro il coronavirus?
«Innanzitutto con le vaccinazioni (non con quella contro il Sars-CoV-2 che non c’è, ndr): contro l’influenza stagionale, lo pneumococco (che causa polmoniti, ndr) e l’herpes (responsabile del fuoco di Sant’Antonio, ndr)».

Altri suggerimenti?
«Sì, sullo stile di vita. La mia formula è “0-5-30”. Zero fumo, che danneggia i polmoni e comunque predispone a infezioni respiratorie. Cinque sono le porzioni al giorno di frutta e verdura, nella dieta che aiuta a stare sani. E 30 minuti di esercizio fisico. Io abito all’ottavo piano e non uso l’ascensore».

Un commento sulla ripresa dei contagi in Lombardia?
«L’apertura delle scuole, è una priorità assoluta. D’accordo che dobbiamo proteggere gli anziani, ma ancora di più i giovani, con i quali ci giochiamo il futuro del Paese. Se la scuola si ferma, aumenteranno le disuguaglianze sociali. Mia moglie, ex insegnante, fa volontariato nelle scuole pubbliche e mi dice che tanti ragazzi non hanno a disposizione nemmeno un computer».

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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