Coronavirus, le staminali derivate dal cordone ombelicale salvano la vita

E’ quanto emerge dalla sperimentazione condotta dall’equipe del professor Camillo Ricordi su pazienti di età inferiore a 85 anni. Rilanciamo l’intervista rilasciata ad Avvenire.

Il 100% di pazienti di età inferiore agli 85 anni contagiati da coronavirus, quando trattati con infusioni intravenose di staminali mesenchimali derivate da cordone ombelicale, si salva. È il formidabile risultato ottenuto nella sperimentazione dell’equipe di Camillo Ricordi (foto), direttore del Diabetes Research Institute (Dri) and Cell Trasplant Center di Miami, autorizzata dalla Food and Drugs Administration in aprile. Il trial si riproponeva di testare con urgenza, visto l’evolversi della pandemia, in primis la sicurezza di un possibile trattamento innovativo basato sulle note proprietà antinfiammatorie e immunomodu-lanti delle staminali, per poi valutarne gli eventuali effetti curativi.

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Professore, come si è arrivati a scegliere di testare queste cellule anche nell’infezione da Covid-19?
Avevamo già da tempo evidenziato benefici importanti dell’uso delle stami- nali mesenchimali, in particolare contro il diabete di tipo 1, malattie renali e morbo di Alzheimer. In questi casi, però, quando le cellule vengono iniettate endovena, il 95% rimane intrappolato nel filtro costituito dai polmoni: paradossalmente, la situazione ideale per il coronavirus. Uno sforzo internazionale, supportato dall’organizzazione no profit «The Cure Alliance» e da donatori privati per il 90% italiani, ha permesso di mettere a punto una nuova terapia cellulare per trattare i casi potenzialmente letali di Covid-19 in breve tempo.

Qual è la portata di questo primo risultato?
Si tratta del primo studio rigoroso randomizzato, prospettico e cosiddetto “in doppio cieco”, quando cioè né i medici né i pazienti sanno se vengono infuse o meno le staminali. Il protocollo consisteva in due infusioni di 100 milioni di cellule a distanza di 72 ore, con la possibilità di testare nel giro di una sola settimana i primi effetti. Le staminali utilizzate si sono dimostrate completamente sicure, ovvero senza effetti collaterali legati alle infusioni. Ma i risultati indicano anche un significativo miglioramento del tempo di ricovero e dimissione dall’ospedale, possibile in meno di 2 settimane, mentre la maggioranza del gruppo di controllo era ancora ricoverato dopo 4 settimane. Abbiamo, dunque, testato anche segni iniziali di efficacia. La sopravvivenza è stata superiore al 90% nei pazienti di tutte le età, a fronte di un valore inferiore al 50% nel gruppo che non ha ricevuto le infusioni.

Come proseguirà lo studio?
È in fase di avvio un secondo trial di fase II che includerà 100 pazienti e coinvolgerà centri in Nord America, Brasile, Italia, Argentina, Colombia e Cile, per verificare l’efficacia del protocollo. Inoltre, grazie al finanziamento di 3 milioni di dollari ricevuto dal Nabtu, North American Building Trades Union, importante organizzazione sindacale americana, creeremo una banca di staminali mesenchimali già pronte come dosi criopreservate, per facilitarne i tempi di somministrazione. Avviamo così anche la fase III del trial, finalizzata a espandere e distribuire il ‘prodotto’.

La pandemia ha cambiato i confini della ricerca scientifica?
È stato un periodo intensissimo, io stesso preparavo le cellule da portare nelle terapie intensive, ho visto con i miei occhi il lavoro superlativo del personale medico e paramedico. Ho assistito a una risposta filantropica incredibile nell’intento di unire le forze: abbiamo condiviso il nostro protocollo con chiunque fosse interessato, e ogni giorno la rete si allarga.

Quali altre implicazioni possono nascere da questo sforzo comune?
L’enorme input dato all’utilizzo delle staminali mesenchimali porterà vantaggi in numerose altre direzioni di ricerca. Ad esempio, la Cina è il nostro partner principale negli studi sulle staminali mesenchimali nei trapianti di isole pancreatiche. Tratteremmo anche gravi casi di Covid- 19 con sindrome da distress respiratorio acuto, malattie degenerative come l’Alzheimer, è in programma anche il Parkinson. Vorrei sottolineare i costi contenuti di questa ricerca rispetto ad altri filoni: da un cordone ombelicale scartato di un neonato sano si possono ottenere 10mila dosi terapeutiche di staminali. Infine, abbiamo investito sul concetto di ‘sopravvivenza sana’.

Possiamo armarci contro il virus?
Certamente. I fattori di rischio per il coronavirus sono gli stessi delle malattie autoimmuni e di quelle croniche legate all’invecchiamento. Non c’è cura senza prevenzione. Le sostanze che hanno un effetto benefico sul sistema immunitario e un potere anti-infiammatorio come i grassi Omega 3, polifenoli, vitamina D, lattoferrina, quercetina e altre molecole, sono le stesse che aiutano a resistere al virus. Abbiamo, perciò, lanciato il programma “The Batman Project” (www.fit4pandemic.com) per provare ad imitare i pipistrelli che in 70/80 milioni di anni di evoluzione hanno sviluppato una resistenza enorme ai virus, indagando meglio alcuni cibi e altri fattori protettivi da integrare nella dieta e nello stile di vita.

Redazione Nurse Times

Fonte: Avvenire

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