Coronavirus, in aumento la sindrome dell’occhio secco: colpa anche della mascherina

Soprattutto se indossato male, il dispositivo provoca un flusso di aria che accresce la secchezza della superficie oculare.

L’emergenza coronaviurus fa male anche agli occhi. Se la sindrome dell’occhio secco (Ded) è in costante aumento – dopo i 50 anni ne soffre tra il 20 e il 30% della popolazione, con un’incidenza quasi doppia nelle donne – e la necessità di usare la mascherina ha peggiorato la situazione. Tanto che è stata coniata una nuova espressione: Mask-associated dry eye (Made). Soprattutto se indossata male, infatti, la mascherina provoca un flusso di aria che risale a pressione dalla bocca verso l’occhio, aumentando la secchezza della superficie oculare.

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“Questo meccanismo – spiega Rita Mencucci, oculista dell’Azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze – potrebbe essere particolarmente dannoso nei soggetti a rischio, come nei videoterminalisti, nei portatori di lenti a contatto, nelle donne in menopausa. E’ importante, quindi, indossare la mascherina correttamente, in modo che aderisca perfettamente al volto, utilizzare lacrime artificiali e, durante l’utilizzo del videoterminale, seguire la regola del 20-20-20, cioè ogni 20 minuti fare una pausa di 20 secondi, guardando a 20 piedi (circa sei metri), cioè lontano”.

Ma la sindrome dell’occhio secco è uno degli strascichi più importanti dopo un intervento di cataratta, tra le operazione più praticate al mondo, con una percentuale di rischio intraoperatorio e post-operatorio tra le più basse in assoluto. Eppure, anche quando perfettamente eseguito e riuscito, comporta in circa il 30% dei pazienti l’insorgenza della sindrome, che spesso genera insoddisfazione nel paziente desideroso di vedere bene dopo aver eliminato la cataratta.

Uno studio italiano, pubblicato sulla rivista Advances in therapy, ha dimostrato che pre-trattare i pazienti prima dell’intervento di cataratta con un mix di principi attivi come vitamina D, A, omega 3 e liposomi riesce a diminuire il discomfort post-operatorio. “Secondo la letteratura scientifica recente – spiega Mencucci –, l’incidenza dell’occhio secco nei pazienti che vanno incontro a intervento di cataratta è circa del 40%, ma la maggior parte di questi non sa di esserne affetto, e questo rappresenta il primo fattore di rischio per l’insorgenza di un occhio secco conclamato postchirurgico”.

“L’occhio secco che insorge dopo un intervento di cataratta – afferma Paolo Fogagnolo, oculista presso l’Università degli Studi di Milano, Ospedale San Paolo, e principale autore dello studio – può essere un disturbo transitorio, ma per qualche mese il paziente subisce una serie di problematiche legate alle modifiche che l’intervento provoca sulla superficie oculare”.

In genere si prescrivono sostituti lacrimali che i pazienti devono utilizzare per alcuni mesi dopo l’intervento fino al ripristino della corretta idratazione oculare. Ora è da poco disponibile nelle farmacie un nuovo sostituto lacrimale che contiene vitamina D, vitamina A, omega 3 e liposomi, da utilizzare anche prima di andare in sala operatoria.

“Il ruolo protettivo della vitamina D in formulazione orale nella gestione dell’occhio secco è ormai ben codificato – prosegue Mencucci –. Ultimissimi studi indicano come la vitamina D in collirio possa avere un ruolo importante nel ridurre l’infiammazione corneale e aumentare i meccanismi di difesa della superficie oculare. La vitamina A promuove la produzione della componente glicoproteica e mucinosa del film lacrimale, rendendolo più stabile. Infine gli acidi grassi omega 3, che hanno origine algale, hanno anch’essi attività anti-infiammatoria e protettiva, migliorando la qualità del film lacrimale”.

Redazione Nurse Times

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