Coronavirus, “Era da poco passato Natale…”

Rilanciamo un post pubblicato su Facebook dal collega Rino Negrogno (foto).

Era da poco passato Natale. Se provo ad andare a ritroso, a quel febbraio inconsapevole, se provo a pensare ai nostri discorsi, a quel che ci stavamo dicendo, mi viene in mente il Festival di Sanremo. Mia moglie mi aveva costretto a guardare Sanremo perché bofonchiava trattavasi dell’ultima serata: era la finale, tutti l’avrebbero guardata, tranne noi.

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Spremo le meningi e mi ritrovo davanti Morgan e Bugo che litigano. Persino La Repubblica aveva aperto un sondaggio a riguardo, per sapere verso chi parteggiassimo. Io sapevo a malapena chi fosse Morgan, ma Bugo? Chi era Bugo?

Eppure già dal 30 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato lo stato di emergenza globale e l’Italia aveva interrotto i voli da e per la Cina. Scorrevano sullo schermo della tivù le immagini dei cinesi che si aggiravano per le strade indossando la mascherina. Ma, del resto, la cosa non ci impressionava più di tanto: avevamo sempre visto i cinesi indossare la mascherina a causa dello smog. In fondo sono esagerati questi cinesi

L’11 febbraio 2020 avevamo anche un nome per questa nuova malattia causata dal coronavirus: Covid-19. Il 21 febbraio 2020 avevamo registrato i primi caso di coronavirus in Italia, in Lombardia, e si trattava di persone non provenienti dalla Cina. L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato la pandemia.

Ricordo ancora quando per la prima volta ho indossato la tuta bianca: mi sono guardato allo specchio come se mi stessi abbigliando per una festa. Mi sembrava di esagerare a essermi agghindato così, ma del resto ce lo avevano imposto per il nostro bene. Ci avevano insegnato come avremmo dovuto bardarci e come avremmo dovuto spogliarci per non contaminarci. Ma ci sembrava tutto così inverosimile, esorbitante, lontano.

Quando sono intervenuto sul primo soggetto positivo al virus, che successivamente è purtroppo deceduto, la gente si è riversata in strada per osservarci, fotografarci, filmarci. Mi sentivo fuori luogo e mi dispiaceva per il paziente condannato alla gogna. La gente era comprensibilmente terrorizzata. Ci filmava, è vero, ma non lo faceva per cattiveria: aveva paura. Aveva paura che qualcosa stesse accadendo, qualcosa stesse cambiando.

Le bare in fila facevano un certo effetto, anche sa sapevano già allora che probabilmente i morti avevano patologie pregresse, sapevano anche che senza il Covid sarebbero sopravvissuti, avrebbero convissuto con quelle patologie, come i tanti diabetici, cardiopatici, ipertesi, che non muoiono se non vi è una complicanza. Cominciavano a farci gli applausi, a chiamarci “eroi” perché rischiavamo di contagiarci e contagiare le nostre famiglie. Rischiavamo di morire.

Ricordo ancora l’imbarazzo che provai quando mi fecero entrare senza fare la coda come gli altri nel supermercato, solo perché infermiere. Chi l’avrebbe mai detto. Addirittura essere chiamato “angelo”. Sembravamo tutti più uniti, più solidali, più buoni. Sembrava che la pandemia ci stesse cambiando in meglio.

Poi la chiusura. Le attività commerciali senza guadagno, i licenziamenti, l’esigenza di conciliare i bisogni di tutti, dei malati, dei morti, dei commercianti e dei sanitari. Tutto comprensibile. La giusta, graduale e timida riapertura in primavera. Poi non so cosa sia accaduto. L’estate? Il sole, il mare…

Persino sulle mascherine discutiamo, proprio come su Morgan e Bugo. Come quando, davanti a una madre moribonda che non abbia alcuna possibilità di sopravvivere, il figlio mi intima di non smettere di rianimarla perché non bisogna lasciare nulla d’intentato, sebbene ormai sia sfinito e abbia massaggiato già per più di un’ora. Me lo ricordo ancora. Era da poco passato Natale.

Redazione Nurse Times

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