Coronavirus, “Combattiamo armati di corazza e speranza”.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Federica, infermiera napoletana che lavora in Liguria.

Sono Federica, un’infermiera nata a Napoli, ma lavoro da due anni come tanti lontano da casa, in un pronto soccorso della Liguria (ASL1), uno dei tanti colpiti dal Covid-19. Noi infermieri siamo preparati all’emergenza, ma mai avrei creduto di dover affrontare un’emergenza simile. Subdola, silenziosa e non tangibile.

La mia carriera, come quella di molti colleghi, rimarrà per sempre segnata da questo avvenimento. Sono abituata a vedere la parte buia del mio lavoro, fa parte del gioco, ma in questi giorni vedo sopratutto buio, tristezza. Per il momento c’è solo da aspettare e darsi forza, e prefissarsi un unico obiettivo: sconfiggere il Covid-19.

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All’inizio di questa storia nessuno immaginava cosa sarebbe successo di lì a poco, ma davvero poco. A fine febbraio il primo caso positivo nella mia Asl. Da quel giorno a ora le cose sono totalmente cambiate. In sole due settimane il nostro mondo lavorativo è cambiato completamente. Ora andiamo al lavoro, ci mettiamo la nostra divisa e poi, prima di entrare in turno, iniziamo ad aggiungere “accessori” che ci rendono irriconoscibili, ci tolgono il fiato, ci fanno sudare, ci lasciano segni per ore, e inoltre inibiscono i nostri bisogni primari, tra cui bere o semplicemente andare in bagno.

Ebbene sì, perché una volta armata di camice, calzari, guanti, cuffia, mascherina e occhiali protettivi, non è cosi facile svestirsi e rivestirsi. E’ una procedura che richiede troppo tempo, e si ha paura di un “passo falso”, che può mettere a repentaglio il duro lavoro e aumentare il rischio di contagio. A lavoro siamo talmente “mascherati”, tanto che ci riconosciamo dagli occhi o dal tono di voce. Insomma, tanti disagi dietro le quinte, ma di questo non ho mai sentito lamentarsi nessuno dei miei colleghi.

Così, armati di “corazza e speranza”, cerchiamo di vincere questa lotta contro il Covid-19. Continuiamo a vedere tristezza, sofferenza e abbandono. Siamo le uniche persone che possono venire in contatto con questi pazienti, una volta che mettono piede in pronto soccorso. Aiutiamo queste persone, per quanto possiamo, a soddisfare i propri bisogni. Somministriamo loro terapie, cibo, ma sopratutto cerchiamo di aiutarli psicologicamente. Tutti sono lontani dalla propria famiglia e sperano un giorno di vincere la lotta e poterla riabbracciare. E io mi auguro questo, ogni volta che incontro un paziente positivo al virus. Anche io sono lontana dalla mia famiglia, dalla mia città e dai miei affetti, e vivo con la speranza che si risolva al più presto per poter recuperare il tempo perso.

Scrivo questo messaggio a nome di tutti gli operatori sanitari che, come me, combattono in prima linea con il virus. Tutti gli altri li invito – voi che potete – ai restare in casa e auscire solo per casi indispensabili, perché è importante limitare il contagio. Solo tutti insieme, ciascuno con il proprio ruolo, riusciremo a metter fine a questo periodo. Io vado al lavoro, ma voi restate a casa!

Federica – Infermiera

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