Coronavirus, alleanza Pavia-Mantova per uno studio sulla terapia con plasma iperimmune

Arruolati 46 pazienti, tutti ricoverati (tranne uno) nelle strutture ospedaliere delle due città lombarde.

La Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia l’Asst di Mantova hanno condotto uno studio sull’utilizzo del plasma da donatori convalescenti come terapia per i pazienti critici affetti da coronavirus. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Haematologica.

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Lo studio, iniziato il 17 marzo e concluso l’8 maggio, ha visto l’arruolamento di 46 pazienti, tutti ricoverati nei due ospedali, tranne uno, proveniente da fuori Lombardia. Le persone coinvolte avevano più di 18 anni, il tampone nasofaringeo positivo e un distress respiratorio, ovvero difficoltà di respirazione tali da necessitare del supporto di ossigeno o intubazione. Altri criteri di selezione: una radiografia al torace positiva che mostrasse la polmonite interstiziale bilaterale; caratteristiche respiratorie tali da far preoccupare il clinico.

Quando il 9 marzo è stato scritto il protocollo – commenta Cesare Perotti, direttore del Servizio di Immunoematologia del Policlinico San Matteo di Pavia  il ministero della Salute segnalava 8.514 persone positive in Italia, di cui il 59,2% ricoverati con sintomi, il 10,3% ricoverati in terapia intensiva, il 30,5% in isolamento domiciliare, il 9,9% di guariti. Al 10 marzo, al San Matteo, erano stati accettati in pronto soccorso 430 pazienti Covid positivi e contavamo già 174 ricoveri, con 35 dimessi e 24 decedutiGeneralmente la carica virale ha un picco nella prima settimana di infezione e il paziente sviluppa una risposta immunitaria primaria entro 10-14 giorni, seguita dalla clearance del virus”.

I ricercatori hanno quindi osservato l’effetto dell’immunizzazione passiva, somministrando anticorpi specifici contenuti nel plasma dei soggetti guariti. Precisa ancora Perotti: “Lo abbiamo fatto sapendo che il plasma avrebbe potuto rivestire un ruolo terapeutico, senza gravi controindicazioni nei pazienti critici e mediante una procedura di raccolta, la plasmaferesi, rapida ed efficace. In questo modo si sarebbe messo immediatamente l’emocomponente a disposizione di chi ne avesse necessità”

.

Perotti sottolinea poi che il lavoro di Pavia e Mantova è stato utilizzato, con i dovuti accorgimenti, da tantissimi Paesi extraeuropei e posto alla base dello studio nazionale. Gli obiettivi erano tre: riduzione della mortalità a breve termine in terapia intensiva; miglioramento dei parametri respiratori e dei parametri legati all’infiammazione.

Quando è iniziata la sperimentazione, sulla base dei dati ministeriali, la mortalità dei pazienti in terapia intensiva era tra il 13 e il 20%, e il primo obiettivo era verificare se la terapia con plasma iperimmune riducesse la perdita di vite umane. I dati registrati al termine dei test hanno però superato le più rosee aspettative. Utilizzando questa tecnica, infatti, la mortalità si è ridotta al 6%. In altre parole, anziché un decesso ogni sei pazienti, se ne è verificato uno ogni 16. Contemporaneamente si è constatato che i valori del distress respiratorio miglioravano entro la prima settimana e che i tre parametri fissati per l’infezione diminuivano in maniera altrettanto importante.

“Mantova e Pavia – conclude Massimo Franchini, direttore del Servizio Immunostrasfusionale dell’Asst di Mantova – hanno arruolato pazienti con forme gravi di Covid-19egualmente distribuiti tra le due strutture ospedaliere. Lo studio è il primo condotto nel mondo occidentale sull’utilizzo del plasma convalescente nel Covid-19 e  ha aperto la strada agli studi randomizzati condotti successivamente in Europa e negli Usa. Il risultato più rilevante è una riduzione della mortalità assoluta del 9% nei pazienti trattati con l’emocomponente rispetto alla casistica nazionale. Questo importante risultato è stato ottenuto grazie all’efficacia del plasma nel migliorare il quadro respiratorio e polmonare dei pazienti, e nel ridurre gli indici infiammatori e la carica virale”.

Redazione Nurse Times

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