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‘Attimi di noi’. Storie di adolescenti con tumore: la testimonianza di CHIARA

Riprendiamo il nostro viaggio all’interno della raccolta “Attimi di noi” storie di adolescenti con tumore, supportati dall’associazione di volontariato ‘Adolescenti e cancro’, a cui il nostro giornale vuole dare ampia visibilità riprendendo ognuna delle 19 storie, presentate da giovani adolescenti, ragazzi che hanno deciso di far conoscere la storia della loro vita dal momento in cui hanno scoperto di avere un tumore. 

Che cosa vuol dire avere sedici, diciotto o vent’anni e sentirsi dire “hai il cancro”? Che ripercussioni può avere su un giovane, una diagnosi ricevuta da bambino?

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Quella che vi proponiamo oggi è la storia di CHIARA.

Il sette gennaio 2015, ormai quasi un anno fa, la mia vita è cambiata. Dopo essermi accorta a dicembre di un linfonodo che cresceva sulla clavicola destra, mi è stato tolto ed è arrivato il fatidico verdetto: “Hai un linfoma di Hodgkin, un tumore maligno del sistema linfatico!”.

No, non posso avere un tumore, succede agli altri, non può succedere a me. Organizzare tutte le visite, i mille viaggi in ospedale, sentir parlare per la prima volta di chemio mi ha portato a sentire la paura e l’ansia fin da subito.

Cosa farò? Morirò? Mi sono trovata catapultata in un turbinio di eventi e ora mi rendo conto di non averli vissuti veramente, come se fossi stata incosciente, ero guidata dai miei genitori e dai medici che mi trascinavano da una parte e dall’altra.

Ho scoperto che cos’è la biopsia del midollo osseo solo dopo averla testata sul mio corpo, ho scoperto cosa vuol dire avere un catetere venoso centrale e tutte le conseguenze che porta la chemio. Il primo giorno di chemio, un venerdì mattina, aveva nevicato da poco e faceva un freddo cane.

Sono entrata in quella stanza, mi sono sdraiata sul letto e ho iniziato a chiedermi che cosa mi sarebbe successo, non riuscivo proprio a immaginare come sarebbe stato. Mi sono vista gonfia, ho visto i miei occhi cambiare, le occhiaie iniziavano a diventare più scure e poi è arrivata la nausea.

Ho dovuto tirar fuori tutte le forze che avevo e che non sapevo neanche di avere per poter dire alle persone che amavo del tumore e per cercare di far pesare il meno possibile la mia condizione. Ho iniziato a reinventare la mia vita con tutti i limiti che il tumore e le cure mi portavano ma nulla mi ha mai fermata, cercavo lo stesso di andare a scuola e di uscire con i miei amici tanto che erano i miei genitori a cercare di frenarmi un po’, soprattutto quando decidevo di dare verifiche il giorno dopo aver fatto la chemio.

Ho avuto i miei piccoli traguardi nel dolore: ho preso la certificazione di lingua tedesca, c’è stata la promozione a scuola e il compimento dei diciotto anni. Non c’è mai stato il momento in cui mi sono resa conto di avere un cancro, di essere così in bilico tra la vita e la morte, mi sono semplicemente accorta che quella ormai era la mia routine, la malattia faceva parte della mia vita come la scuola o qualsiasi altra abitudine ed è ancora così. Alla resa dei conti il tumore mi ha tolto molto e mi ha regalato altrettanto: mi ha tolto la spensieratezza dei miei pochi anni, mi ha messa davanti a realtà che non conoscevo e che non volevo neanche conoscere e mi ha resa un po’ ipocondriaca ma mi ha regalato la maturità, mi ha fatto conoscere persone speciali con cui ho potuto condividere la mia battaglia, alleggerendola un po’ permettendomi così di capire che la vita è mia e per questo sono io a godermela, cercando di cogliere ogni cosa bella perché è inutile sprecare tempo prezioso arrabbiandosi inutilmente.

Nella tranquillità sono passati i primi due mesi ed è arrivato il più difficile della mia vita: dopo una PET ancora positiva è arrivata la scelta di cambiare terapia e tre ospedali diversi. “Cambio ospedale e continuo la mia terapia? Continuo in quest’ospedale e faccio una chemio più potente? O cambio ospedale e anche terapia?”.

Alla fine, con l’aiuto di mia madre, ho preso la decisione più rischiosa ma anche quella di cui non mi pentirò mai. Sono diventata paziente dell’ematologia di un ospedale di Torino dove mi hanno fatto continuare la mia chemioterapia che è stata poi consolidata con un mese di radioterapia. Quante cose sono cambiate in un anno: mi sono vista con mille acconciature diverse, mi sono sentita forte, felice ma anche triste e persa.

Sono fiera della persona che sono, il mio più grande traguardo è essere ancora qua, nonostante un tumore all’ultimo stadio. Essere qui, decisa, determinata e con altri mille obiettivi perché il vivere in ospedale mi ha regalato il sogno di diventare un grande medico e la malattia mi aiuta a pensare che, se lo voglio davvero, posso farcela.

Un grosso grazie alla mia famiglia che ha cercato di farmi pesare poco la fatica delle visite cui dovevano accompagnarmi, che è sempre qui a dirmi che posso farcela e posso guarire.

Grazie alle mie amiche e ai miei amici, ai miei compagni e a tutte le persone che mi hanno sostenuta, anche se non sapevano come comportarsi con me. A quelli che mi hanno sopportata durante le mille crisi isteriche.

Grazie alle “amiche di chemio” che mi hanno fatto passare giornate un po’ meno pesanti e che sono riuscite a farmi ridere e scherzare in un momento per tutti tragico. Grazie ai medici e agli infermieri che mi hanno aiutata, senza di loro nessuno di noi malati sarebbe qua. Il vero miracolo non è guarire, il vero miracolo è vivere nonostante la malattia.

Forte, presente e con la piena consapevolezza che la malattia fa parte di me, del mio passato e del mio futuro ma io NON SONO LA MIA MALATTIA. Questo è tutto: nulla di speciale, nessun miracolo o avvenimento speciale ma è la mia storia, comunque unica.

CHIARA.

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Giuseppe Papagni

Nato a Bisceglie, nella sesta provincia pugliese, infermiere dal 94, fondatore del gruppo Facebook "infermiere professionista della salute", impegnato nella rappresentanza professionale, la sua passione per l'infermieristica vede la sua massima espressione nella realizzazione del progetto NurseTimes...

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Giuseppe Papagni

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