Un nuovo studio, messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano e pubblicato su Environmental Research, conferma che l’inquinamento atmosferico va di pari passo con l’aumento dei sintomi asmatici.
Gli esperti hanno infatti rilevato una correlazione tra l’aumento dei livelli atmosferici di PM2,5 e PM10 e il consumo di salbutamolo (principio attivo broncodilatatore) da parte dei pazienti.
PM2,5 e PM10 sono parametri utilizzati per valutare le particelle sospese nell’aria: il PM2,5 corrisponde a quel particolato fine (particelle di diametro uguale o inferiori ai 2,5 µm) che origina praticamente da tutti i tipi di combustione, come quella degli impianti di produzione di energia e quella dei carburanti per i motori di auto e motoveicoli; il PM10 corrisponde invece al particolato grossolano (di diametro uguale o inferiore a 10 µm) che può “galleggiare” a lungo nell’atmosfera e la cui origine va dall’erosione delle rocce ad opera del vento alla combustione delle fonti di energia.
Confrontando i livelli di PM2,5 e il PM10 presenti nell’aria della città di Milano con quelli di salbutamolo trovati nelle acque di scarico della città prima del loro ingresso nel depuratore di Milano Nosedo (grazie alla cosiddetta “waste-water based epidemiology”, l’analisi delle acque reflue per lo studio delle malattie ambientali), i ricercatori dell’IRCCS ‘Mario Negri’ hanno osservato che l’utilizzo del principio attivo varia a seconda dei livelli di PM2,5 e PM10 presenti nell’atmosfera.
Elena Fattore, primo nome della ricerca, ha così commentato i suoi risultati: “Rappresentano una prova diretta dell’effetto dell’inquinamento atmosferico su questa malattia respiratoria”…” è stato stimato che se a Milano i livelli di PM10 diminuissero da 50 µg per metro cubo a 30 µg per metro cubo, almeno 850 dosi al giorno di salbutamolo non verrebbero utilizzate”.
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