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Arezzo, andò in overdose sul lavoro: infermiere sotto accusa per furto di farmaci oppiacei

I fatti risalgono al 2019. L’imputato nega di aver sottratto alcune fiale di un anestetico, che poi si sarebbe iniettato, a suo dire per una “disattenzione”, al fine di risolvere problemi epigastrici. Il 23 maggio la sentenza.

Un infermiere dipendente dell’Asl Toscana Sud Est è andato in overdose mentre era in servizio all’ospedale San Donato di Arezzo, dove era addetto al Blocco operatorio, ed è ora accusato di peculato per aver sottratto farmaci anestetici a base di oppiacei, destinati ai pazienti della sala operatoria, facendone uso personale, in un caso, durante il turno di lavoro. Nello specifico, si tratta di alcune fiale di Fentanest, custodite nella cassaforte della camera post-operatoria. Lui nega tutto, ma intanto è a processo davanti al Tribunale di Arezzo, che il 23 gennaio emetterà la sentenza.

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I fatti risalgono al 2019. Secondo l’accusa, tra il 22 e il 23 gennaio cinque fiale furono svuotate e ricollocate vuote nella cassaforte. Altre cinque fiale sparirono tra il 29 e il 31 gennaio. Poi un’altra durante il turno di notte tra il 6 e il 7 febbraio, e due l’11 febbraio. Il 6 agosto, infine, all’infermiere fu contestato di aver sottratto il residuo di 4 millilitri di una fiala di Sufentanyl, altro anestetico oppioide, e di esserselo iniettato, andando in overdose. La difesa, dal canto suo, replica che l’imputato, in virtù della sua esperienza trentennale, conosce perfettamente natura, posologia ed effetti dei medicinali usati in ambito ospedaliero, e sostiene che non esiste alcun riscontro indiziario sulle sottrazioni di fiale a lui attribuite.

Sempre secondo la difesa, poi, dal registro delle presenze risulterebbe che l’infermiere non era presente nei giorni degli ammanchi di farmaci. E quanto al malore del 6 agosto 2019, la stessa difesa ammette che il suo assistito fu trovato “in coma, con bulbi oculari rivolti all’indietro, cianotico, bradipnoico e ipotonico” durante il servizio, ma ribadisce pure che un sanitario esperto come lui non può aver assunto volontariamente l’analgesico per via endovenosa.

Cosa successe, allora? “Una disattenzione”. Che poteva costargli la vita. Quella notte, dopo aver assistito a un parto cesareo, l’infermiere si sarebbe recato in bagno a causa di forti dolori all’addome, accompagnato dall’anestesista di turno. Accusava disturbi gastro-intestinali, a suo dire derivanti dalla bibita fredda bevuta prima di essere richiamato di corsia, allorché si era assentato per mangiare una pizza. Per risolvere i problemi epigastrici si sarebbe preparato una fiala di Xomolix, riponendola in tasca, pronta all’uso. Nel corso delle concitate fasi del cesareo, vista una fiala di Sufentanyl non utilizzata, l’avrebbe aspirata in siringa per un eventuale utilizzo da parte dell’anestesista. Ma non ve ne fu bisogno. Poi, sempre stando al suo racconto, il clamoroso errore: avrebbe gettato la fiala “buona”, per iniettarsi, inavvertitamente, quella “cattiva”. Da lì il coma e il salvataggio a opera dei colleghi.

L’Ufficio procedimenti disciplinari dell’Asl, che si è costituita parte civile, ha ritenuto plausibile questa storia, ravvisando comunque due mancanze da parte dell’infermiere: l’essersi assentato durante il servizio e l’aver agito con superficialità. Rimprovero scritto e stop. Le analisi svolte dal Sert rilevano “l’assenza di sintomi ascrivibili all’uso dipendente di sostanze stupefacenti”. In sostanza, il sanitario sotto accusa non sarebbe un tossicodipendente. E le fiale sparite? Mistero.

Redazione Nurse Times

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