Infermieri

Anche nella medicina esistono le eccezioni alla regola

Due storie a confronto. Cosimo della Pietà (infermiere con laurea magistrale) e Cinzia Rao (infermiera) ci parlano della sclerosi laterale amiotrofica.

Abstract

Questo articolo nasce con lo scopo di mettere a confronto due storie di pazienti affetti da SLA da diversi anni,  come hanno scoperto la patologia, accettato la stessa e affrontano le numerose difficoltà. Verrà presentata una ricerca qualitativa, con l’uso della narrazione, per riportare il racconto della vita di questi pazienti, in rapporto con la malattia, illustrando soprattutto gli stati d’animo e le difficoltà di tutti i giorni. Le cure palliative eseguite, la reazione dei familiari e i cambiamenti di vita e le voragini di emozioni che hanno affrontato, soprattutto vuole mettere in evidenza che nella gestione del malato e nell’evoluzione della malattia esistono eccezioni alla regola.

Nella parte iniziali ci saranno degli accenni alla patologia, di quanto essa può essere dura, meschina e ladra, poi tratteremo i metodi e strumenti utilizzati per scoprire la malattia e affronteremo le testimonianze di questi pazienti, ma soprattutto noteremo nelle conclusioni le palesi, straordinarie e stupefacenti differenze.

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Introduzione

La Sclerosi Laterale Amiotrofica: (SLA) o malattia dei motoneuroni; è una dura e insolita patologia del sistema neuromuscolare a maturazione precipitosa ingravescente dovuta alla degenerazione del sistema piramidale e dei motoneuroni somatici. Per darne un concetto chiaro vengono utilizzati tre termini: indurimento (sclerosi) della porzione laterale (laterale) del midollo spinale e perdita del trofismo o nutrimento muscolare (amiotrofica), con la graduale debolezza a causa della diminuzione delle dimensioni del muscolo.

La SLA, chiamata anche Lou Gehrig (nome di un giocatore di baseball, la cui malattia nel 1939 sollevò l’attenzione pubblica) e come “Malattia di Charcot” (dal nome del neurologo francese che per primo la descrisse nel 1860) o malattia del motoneurone (MDN).

Si tratta di una patologia non ereditaria, che presenta un aumento evidente dell’incidenza all’avanzare dell’età, soprattutto a partire dai 50 anni, e il cui decorso è nella maggior parte dei casi del tutto imprevedibile e differente da persona a persona, anche se è possibile descriverla, in generale, a livello sintomatico come caratterizzata da un progressivo indebolimento muscolare con perdita graduale e irreversibile del controllo dei movimenti volontari, della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell’articolazione della parola (disartria) e infine della respirazione (dispnea).

L’obbiettivo di questo lavoro e far notare i sintomi iniziali dei due paziente e come la patologia è avanzata e le problematiche scaturite. Questi racconti, che vedono un coinvolgimento infermieristico, vogliono evidenziare non solo le cure di carattere professionale che vengono garantite a queste persone, ma anche e soprattutto il ruolo del caregiver e l’importanza del supporto  familiare. È importante far notare che uno strumento fondamentale in questa patologia è l’assistenza quotidiana.

Metodi e strumenti

Non ci sono analisi specifiche in grado di confermare la SLA, anche se una combinazione di test per i sintomi più comuni può aiutare a formulare una diagnosi. L’incertezza, potrebbe essere protratta anche per diversi mesi, con conseguenze pesanti sullo stato d’animo del malato.

I sintomi della SLA, nelle fasi iniziali della malattia, possono essere simili a quelli di una grande varietà di altre malattie più trattabili e meno gravi. Ovviamente, esami medici appropriati possono escludere la possibilità di altre condizioni mediche e stabilire che si tratti proprio della SLA.

Questa narrazione utilizza i racconti del paziente e dei familiari. Ed è un momento prezioso in quanto si evince la relazione che nasce tra infermiere e paziente basata sulla comunicazione e fiducia. Parlare di sé stessi aiuta a strutturare la propria storia, darle compimento, un senso ed è uno strumento che aiuta la crescita personale.

L’approccio qualitativo con i pazienti si è basato sul comprende e osservare le difficoltà quotidiane: come la comunicazione. Ma soprattutto i vari step dei pazienti dalla scoperta della patologia. 

Racconto di Giusy (nome di fantasia)

La paziente affetta da SLA da 12 anni, spiega che il suo primo sintomo è stato un forte dolore al piede destro, correva l’anno 2007 quando inizia a fare visite con il primo ortopedico il quale le diagnostica la stenosi dei tendini, che dovrà operarsi ma che le cose torneranno tranquillamente alla normalità. In realtà le difficoltà aumentano e Giusy inizia ad avere difficoltà nel flettere le gambe, non riesce a salire o scendere le scale, la gambe le rimangono in estensione, l’ortopedico a questo punto si rende conto che la situazione è più complessa, perciò consiglia alla paziente una visita con un neurologo, inizia così il tour tra ospedali e specialisti, mentre la situazione iniziava a degenerare e la paziente inizia a camminare con l’ausilio di stampelle, solo dopo sette mesi la signora Giusy scopre di essere malata di SLA, più precisamente nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno. Così il cuore della paziente è avvolto da tristezza e rabbia, i familiari non sono ancora consapevoli delle difficoltà che affronteranno bensì fissano appuntamenti con i migliori medici  per strappare via la sorella da questa malattia. La patologia progredisce molto velocemente la paziente si ritrova subito in sedia a rotelle, inizia subito ad avere difficoltà a parlare, ovviamente dalla sedia al letto è un attimo e così i prossimi interventi sono stati la PEG in quanto presenta disfagia severa. E poi la tracheotomia alla prima crisi respiratoria ed il conseguente supporto ventilatorio meccanico.

Questi sono gli aspetti fisici ,ma il trauma più grande avviene dentro la testa. La SLA è una malattia cronica che ha modificato profondamente la vita di Giusy, chi ne è colpito non può affrontarla da solo, perché ha bisogno degli altri per muoversi, mangiare, comunicare o il semplice respirare. Normalmente queste sono cose noi le diamo per scontate, in realtà è un cambiamento così radicale che Giusy non riusciva ad accettare, pensava che l’unica prospettiva migliore fosse la morte. Vivere con la SLA è difficilissimo richiede una grande capacità di accettare il cambiamento, di affrontare le difficoltà che si incontrano, di guardare con coraggio e fiducia alla possibilità di mantenere uno spazio di autonomia personale anche quando aumenta la dipendenza. Hai bisogno di assistenza sempre più, dà fastidio quando la gente ti guarda come una malata, ma in realtà è solo una difficoltà nell’agire o meglio, l’impossibilità di poter fare qualsiasi cosa, anche asciugare gli occhi, quando ti lacrimano per il bruciore perché questo è l’unico strumento che hai per poter parlare, è come se si fosse spostata la bocca un po’ più su. La vita di Giusy è cambiata radicalmente, non hai più un posto di lavoro, una sua intimità, ha una serie di disturbi che aumentano con il passare del tempo, esegui una terapia palliativa per aiutarti a non peggiorare. I giorni passano lenti, il tempo sta passando inesorabilmente, spiega Giusy, scrivendo sul suo comunicatore ottico…

Racconto di Michele (nome di fantasia)

Il signor Michele è affetto da SLA da 21 anni, racconta che il suo primo esordio è stata la difficoltà del movimento dell’alluce del piede sinistro, allarmato dal fastidio che si prolungò più di qualche giorno, giocando spesso a calcetto, pensava di aver preso una botta al piede sinistro nelle varie colluttazioni in campo. Per togliersi ogni dubbio, come primo esame, fece un RX, con esito negativo, il disagio iniziava ad aumentare su tutta la pianta del piede, senza nessun segno fisico. Non contento dell’esito dei raggi, si ricovera in una clinica ortopedica nel novembre del 1997, ancora convinto di avere una contusione ossea. Dopo aver effettuato una risonanza magnetica, il medico di reparto, si rese conto che il paziente non soffriva di problemi ortopedici. Consigliandoli di sostenere l’esame ELETTROMIOGRAFICO. Ma il paziente, consultando altri medici, non eseguì questo esame, ma fece una visita con uno specialista neurologo, che sottoscrisse una terapia per il rilassamento dei tendini con un consulto nei prossimi tre mesi. Nel frattempo iniziavano i primi crampi in posizione supina, in modalità alternata ma per tutto il tempo che il paziente rimaneva in posizione ortostatica. I giri tra ospedali e i vari specialisti sono proseguiti, solo nell’anno 2000 con l’elettromiografia, al signor Michele gli viene diagnosticano una disfunzione del 2° motoneurone.

Non sapendo di cosa si trattasse, il medico dell’ospedale Sant’Anna di Ferrara, gli spiegò la gravità, che da quel momento ai prossimi cinque anni sarebbe stato costretto a rimanere inizialmente su una sedia a rotelle, poi allettato e poi senza essere molto speranzoso, non continuando la frase,  face capire che si parlava di una malattia degenerativa. Conclude invitando il paziente di eseguire l’elettromiografia ogni sei mesi.

Iniziano così la preoccupazione della moglie, essendo ancora molto giovani, lei 37 anni e il paziente 40, ancora con tanti progetti da realizzare e tre bimbe da crescere. I sintomi del paziente persistono, anzi aumentavano i crampi e il disturbo si estende fino al polpaccio della gamba sinistra, era completamente ignaro di tutto insieme ai medici, continuando a prestare servizio Militare.

Nel 2004 si reca all’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino” a Messina, per ricoverarsi in reparto specialista neurologico, eseguendo la solita prassi di esami, un po’ sconfortato, per la prima volta esegue l’esame del prelievo del liquor, la diagnosi alla dimissione del paziente era: disfunzione del 2°motoneurone, ma con la grande notizie e lo stupore dei medici dichiararono che la malattia appariva ferma. In effetti il paziente già da un paio di mesi prima del ricovero nella struttura ospedaliera di Messina, riscontrò di non avere più crampi. I medici sostengono che il paziente si debba ritenere soggetto di un’opera miracolosa, in quanto oltre a non ricevere mai somministrazione terapeutica, goda di ottima salute e l’unica terapia che effettua è di tipo fisioterapico ma per evitare una probabilità di atrofia muscolare.

Questa è stata una grandissima notizia per il paziente e per la moglie che dopo quasi quindici anni di ospedali, visite ed esami senza mai ricevere diagnosi certe avevano portato in loro grande sconforto e mancanza di fiducia nella figura medica.

Risultati

Lo scopo di questo racconto è incentrato su due pazienti che hanno vissuto il trauma di una malattia neurogenerativa ma anche nella dimostrazione che nella medicina esistono le eccezioni alla regola. Questa esperienza mi ha fatto comprendere di quanto sono fortunata, ma soprattutto quanto mio padre, il signor Michele, soggetto del racconto, abbia la grande, unica e straordinaria possibilità di raccontarlo. Di quanto la medicina non sia stato in grado di assisterlo, ma solo la fede e l’amore della moglie hanno dato in lui tanta forza nei momenti di sconforto e tanta gioia nei momenti di felicità, che grazie a Dio sono infiniti. In più la battaglia della SLA è una battaglia troppo grande da combattere da sola, devi avere un complice in questa vita che ti sostenga sempre, anche nel caso di Giusy, la famiglia è sua sostenitrice e battagliera. Non sono esistiti ostacoli che hanno mai demoralizzato e demolito la famiglia di Giusy e lei stessa. L’amore delle persone che hai accanto ti aiuta a superare ogni cosa.

Conclusioni

Questo lavoro si basa sul confronto tra i due casi clinici sulle difficoltà che entrambi hanno dovuto superare, la cosa più importante di questa elaborato è che lo stile di vita delle persone malate di SLA è veramente complesso. Le difficoltà che affrontano quotidianamente sono molte e quindi il rapporto che si instaura tra malato e il caregiver è fondamentale, bisogna diventare amico, complice e sostenitore, oltre che professionista erogatore di assistenza infermieristica di eccellenza.

La cosa più drammatica è che dalla SLA non sono colpite solo le persone malate, in realtà tutta la famiglia affronta le conseguenze della patologia, in quanto cambiano i ritmi di vita di tutti, il salone di casa diventa una stanza di rianimazione. Chi è malato di SLA scende a compromessi con la vita.

Dal nostro studio è emerso che esistono sempre delle mosche bianche, strano a dirsi nella medicina, ma il signor Michele è il testimone, si reputa una persona fortunata e ogni giorno ringrazia Dio per questo. Oggi creca di dare il suo piccolo contributo  alle famiglie colpite da questo trauma con piccoli gesti utili, partecipando all’associazionismo, anche con un piccolo e semplice sorriso o parole di conforto.

Il testo esposto è il risultato di una esperienza prettamente personale, incentrando il racconto sulle persone affette da SLA, il coinvolgimento familiare, il racconto dei protagonisti.

Questa  esperienza mi ha dato la possibilità di svelare un mondo a me sconosciuto, di conoscere una persona straordinaria e dinamica, di comprendere che per essere una buona infermiera, non bisogna solo essere preparata all’assistenza infermieristica tecnica, ma bisogna saper ascoltare, parlare, ma soprattutto prendersi cura con il cuore delle persone che ci sono affidate, che ogni giorno affrontano delle battaglie, anche con un sorriso e una carezza.

Cosimo Della Pietà e Cinzia Rao

Bibliografia e Sitografia

  • ALS Functional Rating Scale Revisited (ALS FRS-R), 18/07/2017
  • Dr Gian Domenico Borasio, rivista italiana di Cure Palliative, N 2 estate 2005
  • wlavita.org/SLA/incidenza.html
  • farmacoecura.it
  • lastampa.it
Redazione Nurse Times

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