Addio Lidia, infermiera uccisa in RSA dal Covid-19:“Al lavoro fino alla fine, un capitano non abbandona la nave”

Si chiamava Lidia Liotta una delle centinaia di vittime mietute in sanità del Coronavirus in Italia. Era un’infermiera iscritta presso l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Agrigento ed aveva 55 anni.

Stava male da giorni e la sorella ha tentato più volte di dissuaderla dal continuare ad andare a lavorare, fino ad arrivare ad implorarla per mettersi in malattia. «Mi ha risposto: il capitano non abbandona la nave».

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Questa era Lidia Liotta, morta ieri all’ospedale bresciano di Ome. Era siciliana, originaria di Sciacca. Da oltre vent’anni lavorava come coordinatrice infermieristica presso la casa di riposo Villa Serena a Predore. Viveva nel paese del lago d’Iseo con il marito Calogero Guardino, messo comunale a Villongo, e la figlia Maria Pia, 20 anni.

Nella Rsa di proprietà della parrocchia ma gestita dalla cooperativa Universiis, dall’inizio dell’emergenza sono morti 10 anziani su 25. «Già il 26 febbraio — racconta la sorella Giusy, insegnante alle medie di Chiuduno — mi ha scritto di essere preoccupata perché i suoi “nonnini”, come li chiamava affettuosamente lei, stavano male, c’erano dei casi di polmonite. Poi a un certo punto ha cominciato a stare male anche lei, con febbre alta, tanto che ai primi di marzo è dovuta restare a casa per qualche giorno.».

Ma molto altri infermieri e operatori sociosanitari si ammalano, spingendo altri a licenziarsi per sopravvivere all’evidente focolaio da Coronavirus.

«Dopo pochi giorni ha deciso di rientrare al lavoro. Io l’ho scongiurata di non andare, ma lei mi ha risposto: Un capitano non abbandona la nave, i miei nonnini hanno bisogno di me”.

Ha ricominciato a lavorare facendo doppi turni per lavorare anche al posto del personale mancante. Entrava in servizio prima delle ore 7 e usciva dopo le 20.30. Forse gli stessi dirigenti avrebbero dovuto tenerla a casa». Ma il ritorno al lavoro è durato poco: «L’11 marzo ha avuto un tracollo, ricordo che sentiva un forte dolore alle ossa. Mi ha scritto di essere disponoica, e non riuscivo a respirare. Da allora non l’ho più sentita. L’ultimo messaggio me l’ha inviato poco dopo il ricovero. Diceva: Io da qui uscirò morta».

Ieri, presso il cimitero di Predore si è svolta una benedizione della salma, che ha preceduto il seppellimento.

«Era una persona con una grande abnegazione al lavoro, prima come infermiera e poi come caposala — commenta Tiberio Foiadelli, direttore della casa di riposo —. Non sapevamo che stesse così male, era rimasta a casa qualche giorno prendendo delle ferie ed era rientrata per poco perché doveva effettuare dei colloqui alle nuove infermiere, e so che è stata male una sera poco dopo essere rientrata, lo abbiamo saputo quando ci è arrivato il certificato medico elettronico. È una tragedia che ha colpito tutti».

«Quello che posso dire di Lidia — ricorda don Alessandro Gipponi, parroco di Predore — è che aveva una grandissima dedizione per il suo lavoro, anteponeva sempre i bisogni delle sue nonne ai propri, lo faceva con amore».

Anche l’Ordine delle Professioni Infermieristiche della propria provincia ha voluto ricordare la professionista scomparsa prematuramente:

”Il presidente e tutto il Direttivo dell’O.P.I. di Agrigento esprimono profondo cordoglio alla famiglia per la perdita di Lidia Liotta, infermiera originaria di Sciacca che lavorava nella Casa di Riposo di Predore, in provincia di Bergamo, vittima del coronavirus.

Anche lei, come molti infermieri, nonostante la “paura” di essere contagiati che accomuna tutta l’umanità, con professionalità, coraggio e abnegazione ha continuato ad assistere i suoi pazienti.

Grazie ad Infermieri come lei le persone continuano ad essere assistite e supportate anche psicologicamente.
Ecco chi sono gli infermieri: sono l’orgoglio della Professione.”

Dott. Simone Gussoni

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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