Di cosa si tratta? L’accesso venoso è una procedura infermieristica utilizzata sia in caso di paziente ricoverato, sia ambulatoriale, sia in ambito di Emergenza-urgenza, per poter reperire una vena per fleboclisi o per le emergenze. È necessario essere provvisti di:
Far sedere o distendere il paziente ed avere a portata di mano tutto l’occorrente all’interno dell’arcella reniforme. Utilizzare il laccio emostatico, senza stringere troppo a monte del sito di iniezione e verificare il patrimonio venoso del paziente a livello del braccio o della mano (solitamemente ma non è una regola fissa).
Una volta reperita la vena più lineare e quindi ottimale per l’inserimento del CVP, disinfettare la zona in maniera circolare dall’interno del sito di venipuntura verso l’esterno, e inserire il presidio. Essendo quest’ultimo formato da un’anima in metallo e una parte esterna in poliuretano, utilizziamo l’anima solo per entrare nel complesso vascolare e avanziamo solo con la parte esterna, una volta che nella camera sarà comparso del sangue. Quindi avanzare con la parte esterna del catetere, che essendo morbida, si adeguerà all’anatomia vascolare del paziente. Coprire il tutto con una medicazione trasparente, a maggior ragione se il paziente deve essere ospedalizzato e quindi dovrà tenere il tutto non solo per una singola fleboclisi. Effettuare un lavaggio con soluzione fisiologica solitamente con siringa da 10 ml, e verificare che l’accesso sia ben posizionato, solo a questo punto collegare il farmaco da infondere.
Pensiamo ad un neonato o un bambino, ad una persona che ha effettuato chemioterapia o ad un paziente allettato o in emergenza…
Come è possibile reperire un accesso in sicurezza in questi casi? Oggi ci soffermeremo maggiormente sul campo di Emergenza-urgenza. Sicuramente l’accesso venoso è importantissimo soprattutto nelle emergenze, perché parliamo di pazienti instabili che possono peggiorare da un momento all’altro. Reperire un accesso è importante non solo per salvare la vita del paziente ma anche e soprattutto per rendere più sicuro e veloce il soccorso.
Però non sempre è facile reperirlo, a maggior ragione se un paziente è in arresto cardiaco o ha avuto un collasso a seguito di grave ipotensione.
Per poter eseguire questa procedura però è necessario aver eseguito un corso specifico in grado di dare le giuste nozioni teoriche e pratiche a riguardo.
Tutto quello che abbiamo considerato per l’inserimento normale del CVP varrà anche in questo caso, con la differenza che ci sarà una sonda nella mano dominante dell’operatore che in maniera trasversale farà visualizzare il patrimonio venoso e arterioso del paziente. Vengono apposti sulla stessa due strati di gel e si comincia ad ispezionare la zona identificata. Bisognerà sicuramente effettuare una interpretazioni delle immagini presenti sullo schermo dell’ecografo perché non tutto ciò che vediamo sarà comparto vascolare. Per esempio ci sarà una divisione tra zona anecogena (visualizzata con colore nero), ipoecogena (visualizzata come grigia) e iperecogena (visualizzata come bianca).
Le prime saranno comprimibili tramite forza esercitata sulla sonda, a differenza delle seconde che pulseranno o non verranno mai compresse. Una volta identificato il sito, spostare la sonda in posizione distale rispetto al sito di puntura e inserire il catetere. Una volta trovato l’accesso si può fare a meno della sonda che verrà riposta nell’apposito contenitore.
L’ecografia in Emergenza-urgenza non viene usata solo per l’inserimento del catetere venoso periferico, ma anche per verificare eventuali emorragie nella parete addominale o comunque problematiche improvvise che devono essere identificate in assenza di TAC o RM. Ecco come un presidio prettamente medico diventa indispensabile anche nell’accertamento infermieristico.
Nel caso in cui l’accesso venoso non è reperibile neanche con ecografo, o non si dispone di questo presidio, si può effettuare un’altra procedura che prevede il coinvolgimento sempre di vasi sanguigni ma a livello dello spazio midollare delle epifisi di alcune ossa lunghe: l’accesso intraosseo, di cui parleremo in un’altra articolo.
Dott.ssa Taccogna Federica
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