1° Convegno Ipasvi sugli Infermieri Militari e della Polizia: ad emergere le loro straordinarie competenze specialistiche

Infermieri delle Forze Armate e di Polizia: professionisti che sempre si confrontano con esigenze e responsabilità nuove, allargandone i tradizionali limiti operativi ed attribuzioni. Non più solo preziosi assistenti ma una delle figure più interessanti del panorama sanitario, grazie alla sua costante evoluzione e capacità di riconfigurazione in ambito operativo.

Si è svolto il 29 aprile a Roma, presso il Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, il primo convegno organizzato dalla Federazione Nazionale collegi Ipasvi, dal titolo “L’infermiere nelle Forze Armate e di Polizia. Uno sguardo al passato, una riflessione sul presente ed una considerazione sul futuro”, un evento storico che ha fatto emergere le competenze specialistiche già esercitate dagli infermieri in divisa, ma anche i problemi di inquadramento della professione sanitaria che dovranno essere necessariamente risolti per consentire al Governo Renzi di portare a casa la riforma della Pubblica Amministrazione.

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Ad aprire i lavori la Presidente della Federazione Nazionale Ipasvi, dott.ssa Barbara Mangiacavalli, che ha voluto dare impulso alla discussione partita tra i colleghi in divisa e che ha destato, sin da subito, l’interesse dei rappresentanti istituzionali della professione e del Ministero della Salute.

Il convegno, moderato dal dott. Pierpaolo Pateri, membro del Comitato Centrale della FNC Ipasvi, ha avuto inizio con l’intervento del Contrammiraglio Filippo Crociata, il quale, a nome del Generale Enrico Tomao (Ispettore Generale della Sanità Militare), ha espresso il ringraziamento agli organizzatori per l’opportunità di approfondire i compiti della professione infermieristica militare nei numerosi contesti nei quali gli infermieri delle Forze Armate sono chiamati ad operare, alla luce delle peculiarità del servizio sanitario militare disciplinato dal Codice dell’Ordinamento Militare (D.lgs. n. 66/2010).

A seguire, prima di dare spazio alle relazioni tecniche presentate dagli infermieri di ciascuna Forza Armata e del corpo della Polizia di Stato, c’e’ stato l’intervento del dott. Fabrizio Cipriani, delegato dal dott. Alessandro Pansa (Capo della Polizia di Stato), il quale ha voluto evidenziare l”importanza rivestita dagli infermieri della Polizia nel settore sanitario del corpo e nelle sempre più numerose indagini portate avanti nel settore sanitario, nonchè l’ormai improcrastinabile necessità di una riforma di inquadramento della professione che consenta di annoverare gli infermieri tra il personale laureato della Polizia di Stato.

Ed è proprio con il tema dell’inquadramento, per riconoscerne i meriti e la formazione, che il dott. Maurizio Bellini, Revisore Tecnico Infermiere della Polizia, ha dato inizio alle relazioni tecniche degli infermieri in divisa. Con un organico di 216 unità, gli Infermieri della Polizia si occupano di sanità pubblica, attività forensi, area critica, formazione, medicina del lavoro oltre che di azioni di polizia vere e proprie. “Per portare avanti tali importanti compiti – ribadisce Bellini – l’infermiere non può più essere inquadrato nel ruolo dei revisori tecnici, per il quale è richiesta la licenza media inferiore”.

L’infermiere della Polizia è un professionista sanitario laureato e per tale motivo dovrà essere inquadrato nel ruolo professionale dei sanitari, in qualità di direttivo.

A cura del 1° Maresciallo Luogotenente Infermiere Tarquinio Fornari è stata presentata la relazione tecnica degli Infermieri dell’Esercito Italiano. Grazie ad un interessante excursus sull’evoluzione della professione infermieristica militare, a suon di pubblicazioni Stanag NATO e di articoli del Codice dell’Ordinamento Militare, è emersa l’importanza dell’infermiere dell’Esercito Italiano, sia nelle competenze avanzate presso il Policlinico militare del Celio di Roma (considerato ROLE 4 nella codifica NATO dei livelli di assistenza sanitaria) che nell’impiego in contesti emergenziali fuori area, in numerosi teatri operativi esteri nei quali l’infermiere è chiamato ad operare in prima linea nelle operazioni MEDEVAC (Medical Evacuation). Fornari è il primo a mettere in evidenza l’esistenza degli infermieri transitati nel ruolo degli ufficiali, per i quali, tuttavia, non esiste una vera e propria job description.

A mettere in risalto il ruolo dell’infermiere nella ricerca è il 1° Maresciallo Camillo Borzacchiello, Infermiere dell’Aeronautica Militare, Responsabile del Progetto Farmaci Orfani e Malattie Rare presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, il quale ha approfondito le antiche origini dell’infermieristica italiana e militare, mettendone in evidenza le attuali peculiarità e le necessità di ulteriore sviluppo, sia in ambito militare che civile.

Il Maresciallo Capo Pierluigi Proceda, l’unico non autorizzato ad intervenire in divisa, ha messo in luce l’operato dei 185 Infermieri dell’Arma dei Carabinieri che operano nelle 40 infermerie dell’Arma in qualità di ispettori, sovrintendenti ed appuntati.

Assistenza sanitaria alle operazioni di tiro, medicina preventiva, assistenza, riabilitazione e cura, sostegno psicologico, medicina legale, medicina del lavoro ed educazione sanitaria, questi i settori nei quali l’infermiere dell’Arma dei Carabinieri è chiamato ad operare, anche in assenza di personale medico.

A dettagliare il fatto che le competenze specialistiche degli infermieri militari sono ormai una realtà consolidata è stato il Maresciallo Infermiere Paolo Carbonaro, in rappresentanza degli Infermieri della Marina Militare. Attraverso la sua presentazione sugli Infermieri in Marina ha approfondito gli aspetti riguardanti i numerosi scenari di assistenza sanitaria nei quali l’infermiere, grazie anche all’evoluzione delle proprie competenze all’interno della forza armata, si è confermato quale importante protagonista nella tutela della salute umana.

L’infermiere di Marina, da sempre complementare al medico, in assenza di quest’ultimo, si pone come riferimento per il paziente nei percorsi di prevenzione e assistenza sanitaria.

Il percorso formativo universitario degli Infermieri della Marina Militare Italiana è completato dal corso teorico-pratico di Medicina di Combattimento (CMC). La struttura del corso è improntata sulla fisionomia di corsi internazionali simili, organizzati da altri Paesi NATO come il Combat Casualty Care che mira alla formazione nell’ambito dell’emergenza-urgenza in teatri bellici impartita da istruttori anfibi specializzati, per la gestione del personale subalterno ed il coordinamento del soccorso in situazioni di “distress”.

          

Al Combat Nurse è assegnato un ambito di azione più ampio della controparte civile: il B.L.S.D., il P.T.C. e l’A.L.S. sono solo il punto di partenza del soccorso, ma quando si applica un protocollo in situazioni ostili ed in scenari di guerra sono probabili ed auspicabili modifiche ed improvvisazioni.

L’infermiere di bordo è un professionista che ha acquisito competenze specialistiche per operare, al meglio, negli specifici ambiti che vedono il mare come scenario.

Non solo mezzi di superficie ma anche attività subacquee o iperbariche, così come in attività di volo, poichè molteplici sono gli scenari nei quali è chiamato ad operare.

Gerarchicamente dipendente dal Comandante in II delle unità navali militari la componente sanitaria di bordo, a seconda del livello assistenziale, può essere retta da un medico o da un infermiere.

In assenza del medico, infatti, l’infermiere diviene la figura sanitaria di riferimento per l’utente e per il comando, nel compimento del proprio dovere professionale e militare, attraverso interventi specifici, autonomi e complementari, di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa, così come previsto dal proprio Codice deontologico, nel rispetto della Legge 43/2006 peraltro pienamente recepita dal Codice dell’ordinamento militare all’art. 212 (D.lgs. n. 66/2010).

Le principali aree di impiego di un infermiere di Marina sono:

  • igiene e medicina preventiva;

  • area critica e gestione delle emergenze;

  • assistenza e cura;

  • attività addestrative ed educazione sanitaria;

  • medicina legale e gestione logistica ed amministrativa

Ad esse si aggiungono i particolari settori di impiego dell’Amet e della Fisiopatologia subacquea.

L’infermeria di bordo rappresenta il cuore pulsante di tutta l’assistenza sanitaria in mare. La sua gestione ricade sulle responsabilità dell’infermiere in termini, non solo di approntamento, ma anche di efficienza in base al livello assistenziale che l’Unità Navale è chiamata a garantire. Le capacità sanitarie militari sono codificate, in ambito NATO, su livelli di assistenza con risorse e capacità progressivamente maggiori. Ogni livello incrementa con servizi supplementari il precedente. L’assistenza dunque viene espletata dal luogo di ferimento alla struttura più complessa. I livelli assumono il nome di ROLES.

La Portaerei Cavour è in grado di fornire massima assistenza in mare, come è stato ad esempio durante le operazioni umanitarie dell’Operazione White Crane per il soccorso alle popolazioni di Haiti colpite dal sisma del 2010.

L’attività di Haiti, che ha visto impegnata in prima linea la Marina Militare è stato uno dei più significativi esempi di collaborazione sanitaria interforze che conferma il ruolo strategico dell’impiego dei mezzi navali nelle operazioni di soccorso nelle maxi emergenze sanitarie. Così come a bordo della Cavour, anche in numerose altre Unità Navali della Marina Militare nonchè presso il Comsubin ed il Com di Taranto, sono presenti le camere iperbariche.

L’abilitazione in fisiopatologia subacquea degli Infermieri della Marina Militare rappresenta un “unicum”, che non ha corrispettivo nella formazione specialistica degli infermieri in ambito civile e militare. Successivamente ad un corso della durata di 12 settimane l’infermiere approfondisce le conoscenze della Medicina del lavoro subacqueo e dei trattamenti iperbarici, tali da consentirgli il corretto trattamento, di elezione e di urgenza/emergenza, delle patologie correlate alle attività subacquee, anche in assenza del medico.

L’infermiere specialista in Fisiopatologia Subacquea può prestare assistenza in piena autonomia ad operazioni subacquee fino alla profondità di 40 metri. Questo settore, che rappresenta una delle competenze specialistiche già presenti nel profilo professionale dell’infermiere di Marina, vede l’operatore impegnato, oltre che nel supporto sanitario alle attività subacquee militari, anche in assitenza in caso di OTI a favore della popolazione civile.

Non solo assistenza sanitaria di superficie o subacquea, nelle competenze dell’infermiere di Marina debbono esserci necessariamente anche competenze AMET ovvero di Aereomedical Evacuation Team. La necessità di possedere tali competenze è strettamente correlata all’importanza di poter evacuare in sicurezza feriti dall’Unità Navale ad un livello assistenziale superiore, echelon come abbniamo visto prima.

Gli infermieri delle basi aeree della Marina e non solo possono essere impiegati dopo specifica ed accurata preparazione, nei team di soccorso aereo in qualità di flight nurse. In tale contesto l’Infermiere dovrà saper utilizzare protocolli specifici, operare in sincronia con i mezzi e le strutture a terra, con rapidità e perfetta conoscenza dei presidi e dei device di stabilizzazione del paziente.

Tra le principali competenze del team di soccorso aereo, rientrano:

  • ricerca e soccorso di vittime in ambienti difficili e particolari;
  • trasporto di equipe sanitaria avanzata presso il luogo in cui ci sia una vittima di un grave fatto acuto sia traumatico che medico;
  • trasporto di un paziente critico da un livello minore ad uno avanzato di assistenza sia militare che civile.

Essere infermiere di Marina non vuol dire solo conoscere l’assistenza sanitaria da attuare a bordo di navi ed elicotteri. La maggior parte delle unità navali della Marina Militare dispone di sovra-strutture per l’appontaggio di mezzi aerei/elicotteri e di un hangar per il loro ricovero. Il ponte è la cosiddetta “landing zone”.

Il rischio di incidente nella fase di appontaggio e di decollo dei velilovi è maggiore rispetto all’atterraggio/decollo effettuati in una comune pista aerea; spazi ridotti, movimenti di rollio e beccheggio dovuti al moto ondoso sono i motivi per i quali tali attività devono essere sempre supervisionate dall’infermiere di bordo, che si trova in posizione di sicurezza, pronto a prestare il primo soccorso in caso di crash sul ponte (schianto) o di ammaraggio del velivolo.

A titolo informativo è stato precisato che il personale sanitario, a similitudine dei piloti e del personale tecnico di volo, in fase di formazione post-base, segue il corso di fuoriuscita da velivolo ammarato presso la base aeronavale di Luni.

Prestare servizio a bordo di una unità navale della Marina Militare rende necessaria, per tutto l’equipaggio, una conoscenza dettagliata di tutti i locali di vita e dei locali comuni della nave; Tale necessità vale ancor di più per l’infermiere di bordo e scaturisce dal fatto che l’unita’ navale è, di per sè, un luogo ad alto rischio sanitario, sia in porto che in navigazione.

I principali rischi sono schematicamente riconducibili a:

  • Incendi
  • Falle con corrispondente allagamento dei locali
  • Esplosioni

Il mezzo navale militare è inoltre considerato quale ipotetico bersaglio in caso di conflitti bellici. Per tale motivo l’ingegneria navale militare ha posto in essere grandi stravolgimenti nella progettazione delle unità navali mirando ad un sempre più ampio ed ottimale utilizzo dei presidi sanitari di soccorso che, secondo i criteri della logistica del disastro, risultano dislocati su tutta l’unità navale e quindi facilmente reperibili dall’infermiere di bordo.

Fra le numerose competenze richieste all’infermiere di bordo non meno importante e’ l’attività di valutazione clinica pre-immersione dell’idoneità del personale subacqueo.

Tale valutazione viene effettuata prima di ogni assistenza sanitaria alle operazioni di immersione. Insieme all’infermiere di bordo il personale subacqueo è coinvolto nelle operazioni di recupero dei naufraghi, operazioni complesse che non possono prescindere dalla valutazione delle condizioni meteo-marine e dalle ripercussioni, potenzialmente letali, che possono derivare dalla prolungata permanenza in mare.

Il rischio di perfrigerazione acuta è un rischio che a bordo delle unità navali puo’ coinvolgere tutto il personale. In caso di naufragio dell’unità navale, infatti, l’ipotermia e l’assideramento sono le condizioni cliniche più frequenti che possono verificarsi. Periodicamente tutto il personale imbarcato viene sottoposto a programmi di istruzione sui comportamenti da adottarsi in caso di abbandono della nave che puo’ risultare necessario in caso di avaria, errore umano, eventi bellici ecc.

Per gli aspetti sanitari relativi alla prevenzione della perfrigerazione acuta l’infermiere di bordo effettua, periodicamente, specifici interventi di educazione sanitaria, anche attraverso conferenze sanitarie dedicate.

L’attività di sorveglianza marittima è una delle attività di base della Marina Militare, nella quale l’infermiere di bordo riveste un ruolo fondamentale.

Particolare importanza è rivestita dal controllo dei flussi migratori, con l’impiego di tutti i mezzi navali e aerei della Forza Armata, che forniscono un indispensabile contributo alle attività marittime e alla salvaguardia della vita umana in mare.

L’immigrazione clandestina ha spesso determinato la necessità di doversi adoperare con vere e proprie operazioni di salvataggio, sia a causa delle condizioni sanitarie in cui versano i cittadini extracomunitari che tentano di introdursi in Europa, sia a causa della precarietà dei mezzi utilizzati.

Di seguito alcune immagini dell’Operazione Mare Nostrum, attualmente inserita nel Programma Europeo “Triton” di Frontex, che testimoniano come la figura dell’infermiere di Marina risulti perno centrale nelle operazioni umanitarie e di soccorso sanitario che vede impegnati gli uomini e le donne della Marina Militare Italiana.

 

Redazione Nurse Times

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