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Tumori, al “V.Fazzi” arriva la tecnologia Flexitron

 

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Il nosocomio “Vito Fazzi” di Lecce riprende i trattamenti brachiterapici presso l’Unità di Radioterapia Oncologica. E l’ha fatto con un nuovo apparecchio, il Flexitron Afterloader.

E’ la prima volta che si vede in Italia ed è una tecnologia assai innovativa sotto molteplici aspetti.

Il sistema Flexitron è il primo installato in Italia e si aggiunge al già importante parco tecnologico della radioterapia del Fazzi, dove sono in funzione anche due acceleratori lineari e cui, entro fine anno, si aggiungerà un terzo e più avanzato acceleratore. Confermato infatti per il 12 ottobre prossimo l’arrivo del Versa HD Elekta che sarà installato in quella che è tuttora area di cantiere dopo l’avvio, qualche mese fa, dei lavori di ristrutturazione edile e impiantistica.

Nell’ospedale leccese, quindi si riprendono i trattamenti dopo la sospensione di alcuni mesi a causa dei sopraggiunti limiti d’età del macchinario precedente, il Microselectron della Elekta, che era in uso dal 2006, sia per spostamenti inerenti al cantiere del nuovo acceleratore lineare.

Due parole sulla brachiterapia per comprendere la materia: questa, spiega una nota dell’Asl leccese, è considerata una tecnica radioterapia speciale. Non è praticata in tutti i centri di radioterapia e prevede il posizionamento di sorgenti radioattive a contatto con il tessuto da irradiare. Lo scopo: aumentare la dose sul volume da trattare con il massimo risparmio dei tessuti sani limitrofi.

Esistono due tipi di brachiterapia: quella interna (o endocavitaria) in cui la sorgente radioattiva è inserita in organi cavi tramite degli applicatori (esempio, cervice uterina, esofago, trachea e bronchi); quella interstiziale, che prevede l’impianto di sorgenti radioattive all’interno del tessuto tumorale mediante tecniche chirurgiche poco invasive (tumori della prostata, neoplasie di piccole dimensioni della testa e collo di tumori della mammella già operati).

Sebbene il precedente macchinario potesse essere aggiornato, si è valutato che non si sarebbero raggiunti vantaggi di rilievo e di lunga durata. “Abbiamo preferito l’acquisto di una nuova macchina al costo di circa 116mila”, spiega dunque il direttore generale Giovanni Gorgoni. “L’urgenza di dotare il territorio dello strumento – aggiunge – mi era stata segnalata direttamente qualche mese fa anche da alcuni pazienti costretti ad andare fuori provincia per i trattamenti”.

Fra i vari vantaggi, la possibilità di una sorgente radiogena ancora più piccola, 0.75 millimetri contro 1.5 millimetri del precedente macchinario.

“Questo – illustra Mario Santantonio, direttore della Radioterapia Oncologica – consente di affrontare tumori dalla morfologia più complessa che necessitano una modellazione più precisa dell’area d’irradiamento”.

Scupola Giovanni Maria

 

Giovanni Maria Scupola

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Giovanni Maria Scupola

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