Gent.mo Direttore,
la sintesi presentata da Giovanni Rodriguez sulla testata da Lei diretta, relativa al confronto tra i programmi di PD, Centro Destra, Cinque Stelle, Liberi e Uguali, Civica e Popolari e +Europa è sembrata particolarmente interessante, a partire dal fatto che tutti affermano l’indispensabilità di maggiori finanziamenti ed investimenti per sanità e welfare, ma senza indicare le aree “di prelievo” per recuperare le risorse necessarie e senza evidenziare i settori penalizzati (quindi solo parole!). È sufficiente leggere i dati riportati nel “Rapporto OASI Bocconi 2017” (la spesa sanitaria in Italia corrisponde al 9% del PIL, contro il 9,9% della Gran Bretagna, l’11,1% della Francia, l’11,2% della Germania, il 16,9% degli Stati Uniti) per comprendere la necessità di maggiori investimenti in sanità e welfare.
Tra gli item presentati sono stati individuati 3 argomentazioni “core”:
Certamente la l. 133/2008 era finalizzata al contenimento della spesa (spending review), con un proseguo ancora più forte con la l. 135/2012 (spesa per il personale riferita al 2004, con ulteriore diminuzione dell’1,4%), ma comunque con uno spirito riorganizzativo.
Il successivo DM 70/2015 (Lorenzin), oltre a definire standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, con riferimenti minimi e massimi di strutture per singola disciplina, rapportati alla numerosità degli abitanti (punto 3), entra nel dettaglio dei volumi e degli esiti (punto 4), con richiami alle necessità di adeguamento di strutture, servizi ed ospedali alla mutata domanda della popolazione, conseguenza diretta delle variazioni demografiche, epidemiologiche e socio economiche (del Paese e dei singoli), con il mantenimento dei principi di appropriatezza, efficacia, efficienza, qualità e sicurezza.
Il successivo punto 4.6, nelle more di approfondimenti scientifici e metodologici rimandati ad un tavolo Ministero / AgeNaS / Regioni, definisce i valori soglia minimi di volumi di attività (a tutela e garanzia della popolazione). A seguire il DM declina gli standard di qualità (5), gli standard organizzativi, strutturali e tecnologici (6), gli standard dell’alta specialità (7) , le reti ospedaliere (8), la rete dell’emergenza e urgenza (9) e, per finire, la continuità ospedale / territorio (10).
Viene naturale domandarsi se, prima di passare a nuove ipotesi riorganizzative, non sia forse il caso di verificare il rigore adottato dalle Regioni e dalle Aziende nell’applicare i principi normativi citati (anche perché l’analisi dei dati di attività evidenzia una forte diminuzione di risorse a fronte di un aumento di attività e prestazioni, a significare che in epoca di “vacche grasse” qualche esagerazione è stata fatta… senza escludere la possibilità di ulteriori miglioramenti nelle azioni di governo, da realizzare oggi, tenuto conto sia delle evoluzioni scientifiche, metodologiche e tecnologiche, sia delle riorganizzazioni aziendali in continua evoluzione).
Quanto sopra a significare che ad ogni cambiamento che avviene nel sistema sanitario, per le motivazioni sopra riportate, deve corrispondere un cambiamento negli assetti delle strutture, favorendo lo sviluppo di nuovi modelli di integrazione, con il superamento della parcellizzazione (solitamente “nemica” della razionalizzazione), con la massima valorizzazione e responsabilizzazione degli operatori, tenuto conto delle evoluzioni normative e formative che hanno interessato l’intero settore sanitario.
Alla politica oggi viene chiesta una assoluta onestà intellettuale nelle decisioni che riguardano il sistema sanitario e welfare, con azioni programmatorie adeguate, tenuto conto dei cambiamenti demografici, epidemiologici e socio-economici, con il superamento delle vecchie logiche di “salvaguardia dell’esistente” (e del consenso), a favore di modelli maggiormente in linea con i nuovi bisogni, a garanzia e tutela di coloro che sono, contemporaneamente, utenti, committenti e finanziatori del sistema.
Sulla base di ciò potrà essere più facile per la politica definire la tipologia e la numerosità di risorse necessarie, tenendo comunque ben presente quanto segue:
A livello demografico si riscontra (dati ISTAT 2016):
Risultano 25.266.266 famiglie (di cui il 31,1% costituite da un solo componente, con forte presenza di vedovanze, prevalentemente femminili).
A livello epidemiologico si riscontrano (dati ISTAT e Piano Nazionale Cronicità):
Ulteriori approfondimenti evidenziano:
Tutti i partiti evidenziano con forza la necessità di importanti investimenti nell’area della non autosufficienza e disabilità (fondi per il reddito di inclusione, implementazione dell’indennità di accompagnamento, raddoppio dell’assegno di sostegno, innalzamento dell’importo detraibile per l’assunzione di colf e badanti, assistenza domiciliare, spostamento della spesa sanitaria si cronicità e disabilità, nuovi modelli di assistenza domiciliare). Nessuno prende in considerazione la necessità di sviluppare un progetto (degno di tale denominazione), di lunga durata, per affrontare seriamente il problema delle cronicità / fragilità / disabilità.
L’analisi dei documenti presentati dai partiti consente di affermare che è sempre “ricordata” la centralità del MMG (cosa che nessuno mette in discussione) ma forse è giunto il momento di affrontare il problema attraverso altri approfondimenti, in particolare:
Quanto sopra risulta essere in linea sia con gli indirizzi dell’OMS e del PSN, sia con le raccomandazioni che caratterizzano il Piano Nazionale Cronicità, che evidenziano la necessità di sviluppare nuovi modelli di presa in carico delle persone affette da tali patologie.
I fatti vanno ben oltre le parole, in particolare:
La politica deve comprendere che per far fronte alla nuova domanda (sicuramente esponenziale nei prossimi anni) necessitano circa 27.186 infermieri, per un costo annuo stimato di circa 1.088.000.000 €, con l’assoluta necessità di pensare alle possibili soluzioni per sostenere l’importante impegno di spesa. Parallelamente potrebbe essere interessante, attraverso analisi approfondite ed elaborate, ipotizzare i costi di domani, conseguenza diretta dei servizi non assicurati oggi.
Nelle argomentazioni prese in considerazione nei precedenti punti 1 e 2 è stata evidenziata la necessità di pensare alle riorganizzazioni in termini di “innovazioni”, con un occhio “al nuovo”, a partire dalla rivisitazione “del vecchio”, pena l’insuccesso o il mancato raggiungimento degli obiettivi di razionalizzazione. Il sistema delle cure primarie non è esente da tale principio.
Se le cronicità / fragilità / disabilità hanno un peso prevalentemente assistenziale, e se la politica dovesse ritenere opportuno ed importante investire sulla figura dell’Infermiere di Famiglia / Comunità (non in funzione degli infermieri ma in funzione della popolazione), e se questo genera (come è vero) una migliore condizione operativa ai MMG, viene naturale valutare la possibilità di una diversa “massimilizzazione” degli utenti in carico ai MMG (di fatto viene tolto lavoro da parte degli Infermieri di Famiglia / Comunità), ad invarianza di costi per il SSN rispetto all’esistente (con la possibilità di prevedere sistemi di gratificazione sostenibili per i MMG).
Da un punto di vista numerico, a titolo puramente esemplificativo, stante il fatto che la media assistiti per ogni MMG è pari a 1.160 (fonte ASI 2017), ipotizzare un “passaggio” a 1.700 utenti avrebbe come conseguenza una riduzione di 14.358 MMG (che sono i numeri corrispondenti alle carenze di MMG che vengono pubblicate dalle riviste di settore … che però non prendono in considerazione l’ipotesi della presa in carico infermieristica degli utenti affetti da patologie cronico-degenerative).
Il recupero economico stimato è pari a 1.220.481.000 (sostenibile per l’assunzione dei 27.186 Infermieri necessari per l’attivazione operativa dell’infermiere di famiglia / comunità), questa volta davvero ad invarianza di spesa! E’ giunto il momento dei fatti! Alla politica il compito di fare le scelte, non con logiche “lobbistiche” ma in funzione dei nuovi bisogni dei cittadini, con maggiori possibilità da parte degli stessi di esprimere consensi, stante i servizi ottenuti (e non solo “dichiarati”).
Infine, un richiamo alla politica per i rinnovi contrattuali. Gli operatori del SSN non hanno mai abbassato la guardia e hanno comunque garantito la migliore risposta diagnostico-clinico-assistenziale-riabilitativa possibile, nonostante i tagli che hanno interessato il SSN. La corsa alla firma di un rinnovo contrattuale atteso da un decennio sa tanto di “ricerca di consenso”, quasi senza consapevolezza da parte della politica di quanto sia alto in tutti gli operatori del SSN il livello di demotivazione e di “stanchezza”, conseguenze dirette delle tante promesse non mantenute e del calpestamento della dignità personale e professionale subita negli ultimi anni.
Le notizie riportate dai “media”, riguardanti stipendi dei barbieri di Camera e Senato e i vitalizi non hanno certamente aiutato a superare “il mal di pancia”. Le tante problematiche citate, e le conseguenti necessità di interventi, riportano l’attenzione alla prefazione e conclusione (identiche) del testo “Ripensare l’Azienda” – Autori Hammer e Champy (edito da Sperling & Kupfer editori) che recita “… ciò che ci vuole è la volontà di riuscire e il coraggio di cominciare…” che sembra quanto di più attuale, relativamente alle attività richieste a coloro che si candidano a governare il nostro Paese domani.
Associazione nazionale dirigenti professioni sanitarie – affiliata COSMED
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