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C’è una frase che dovrebbe campeggiare all’ingresso di ogni assessorato alla sanità, di ogni direzione generale, di ogni ufficio in cui qualcuno pensa che la qualità assistenziale si gestisca col bilancino del risparmio:
“Se pensi che un professionista ti costi troppo, è perché non hai idea di quanto ti costerà un incompetente.”
E al San Raffaele l’hanno capito benissimo. Peccato che l’abbiano capito dopo.
Perché nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2025, in uno degli ospedali più prestigiosi d’Italia, reparti delicatissimi sono diventati un esperimento sociologico che nessuno avrebbe mai voluto vedere: personale pescato da cooperative, senza affiancamento, senza formazione, senza conoscenza dei farmaci, catapultato in Medicina Intensiva come se stessimo parlando di una sala relax del dopolavoro ferroviario.
Risultato?
- Terapie sbagliate.
- Farmaci somministrati dieci volte oltre la dose.
- Pazienti trasferiti in emergenza.
- Accessi bloccati.
- E un’unità di crisi attivata non per un disastro naturale, ma per una gestione del personale da manuale del risparmio creativo.
Complimenti. Un esempio perfetto di come trasformare un IRCCS in un episodio di Grey’s Anatomy diretto da un comico qualunque.
La politica? Sorpresa. Ma evidentemente non abbastanza
L’ATS apre un’indagine, i dirigenti si dimettono, i sindacati denunciano. Tutto giusto. Tutto doveroso.
Ma la domanda è: come ci siamo arrivati?
La risposta, come sempre, è semplice e vergognosamente prevedibile:
- anni di tagli;
- ossessione per il contenimento dei costi;
- ricorso a personale esterno per “tappare i buchi”;
- fuga degli infermieri italiani verso Paesi che li pagano e li rispettano;
- carenza strutturale ignorata fino all’esplosione;
- e una classe politica che crede di poter governare la sanità come un supermercato: chi costa troppo non entra nel carrello.
Peccato che qui non vendiamo detersivi. Qui parliamo di persone in terapia intensiva.
E mentre succede tutto questo, la grande idea nazionale è… importare infermieri dall’estero
Sì, perché proprio nelle settimane in cui il San Raffaele sperimentava il caos organizzativo, FNOPI firmava un accordo con Randstad per reclutare infermieri stranieri, formarli, inserirli, accompagnarli.
Tutto molto bello. Ma la domanda sorge spontanea: se sappiamo formare bene infermieri stranieri… perché non riusciamo a trattenere quelli italiani?
Perché ogni anno migliaia di giovani abbandonano gli studi sanitari o scappano all’estero?
Perché la politica dice “mancano infermieri” mentre i concorsi restano deserti e i reparti si svuotano?
Perché non si punta su stipendi adeguati, condizioni di lavoro sostenibili, percorsi di carriera veri, sicurezza sul lavoro e rispetto dell’opinione pubblica?
La verità è semplice: importare personale costa meno che valorizzare quello che già abbiamo.
È l’ennesima dimostrazione che quando il sistema dice “etico”, intende “economico”.
Follia italiana n. 1: i più complessi reparti del Paese affidati alla roulette russa del personale a basso costo
La notte del 5 dicembre è stata la conferma definitiva del più grande paradosso della sanità italiana: ci scandalizziamo quando le cose vanno male, ma non battiamo ciglio quando vengono create tutte le condizioni perché vadano male.
Quando in Terapia Intensiva finisce personale che non sa:
- usare il sistema informatico,
- dove si trovano i farmaci,
- quali sono le pompe infusioni in dotazione,
- come gestire una terapia complessa,
- cosa significhi “alta intensità di cura”,
…il problema non è quella persona. Il problema è chi l’ha assunta, chi l’ha messa lì, chi non ha verificato le competenze, chi ha pensato che “una mano vale l’altra”. E tutto questo per cosa?
Per risparmiare.
Perché il prezzo orario di una cooperativa è più basso del costo di un infermiere assunto, formato, competente, stabile.
In Italia la sicurezza assistenziale è diventata una formula matematica: meno spendi, più rischi.
Follia italiana n. 2: vogliamo un SSN moderno ma non vogliamo pagare chi lo tiene in piedi
A leggere i comunicati politici del 2025 sembra che l’infermiere sia diventato il protagonista assoluto della sanità: centrale, indispensabile, insostituibile.
Peccato che nella vita reale:
- un infermiere italiano guadagna meno di un lavoratore del settore logistico;
- le aggressioni aumentano più dei posti letto;
- il territorio non assume;
- i turni non finiscono mai;
- la libera professione è vietata;
- le carriere specialistiche non esistono;
- e chi denuncia le criticità viene accusato di “fare allarmismo”.
Eppure i giovani dovrebbero iscriversi a Infermieristica “per passione”. Certo. Magari dopo aver fatto un giro in Terapia Intensiva con personale improvvisato.
Follia italiana n. 3: ci stupiamo quando accade ciò che abbiamo costruito per anni
Il caso San Raffaele non è un incidente: è la sintesi perfetta di scelte politiche, economiche e gestionali che si trascinano da anni. La frase “non potevamo prevederlo” non regge. Lo sapevamo tutti.
Gli infermieri lo urlano da una vita.
Un sistema che risparmia sulla competenza produce incompetenza.
Un sistema che risparmia sull’esperienza produce errori.
Un sistema che risparmia sulla sicurezza produce crisi.
E un sistema che prova a risolvere la carenza infermieristica importando lavoratori stranieri invece di valorizzare i giovani italiani produce… altri disastri.
Perché la professione non si salva con la geografia. Si salva con politiche coraggiose.
Conclusione: il conto, alla fine, arriva sempre
Il 2025 si chiude con una verità che nessun comunicato potrà nascondere: risparmiare sulla sanità non fa risparmiare. Fa solo più danni.
E mentre al San Raffaele si corre ai ripari, mentre le testate raccontano errori e caos, mentre il Paese si accorge che la qualità non è un optional, arriva spontanea una domanda che dovrebbe bruciare sulle scrivanie dei decisori:
Perché continuiamo a rincorrere infermieri stranieri da formare “a basso costo”, quando basterebbe dare dignità e futuro agli infermieri italiani per evitare tutto questo?
Perché continuiamo a mettere toppe, quando sarebbe così semplice aggiustare il tessuto?
E soprattutto: quanto ci costerà ancora la scelta scellerata di preferire il risparmio alla competenza?
Guido Gabriele Antonio
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