L’inquinamento acustico ospedaliero è in costante aumento almeno dagli anni ‘60, diventando oggigiorno uno dei motivi principali delle lamentele di pazienti, personale sanitario e visitatori
Le fonti di rumore nosocomiali sono molteplici: monitor multiparametrici, pompe infusionali, telefoni che squillano, campanelli che suonano e persone che parlano in ogni angolo del reparto.
Nel 2006, il governo federale degli Stati Uniti d’America, ha introdotto uno strumento per misurare la qualità percepita dell’assistenza; si tratta dell’Hospital Consumer Assessment of Healthcare Providers and Systems (HCAHPS).
I risultati del sondaggio sono stati resi pubblici e divulgati in ognuno dei 5500 ospedali statunitensi. Dalla prima analisi dei dati ottenuti è emerso come il punteggio più basso ricevuto dai presidi americani in generale riguardasse la domanda sull’inquinamento acustico nelle stanze di degenza.
Con la minaccia di decremento dei finanziamenti federali qualora le amministrazioni non avessero dimostrato un notevole miglioramento della situazione acustica, gli ospedali hanno sviluppato ed implementato programmi di controllo dei rumori.
Agiscono principalmente a livello psicologico ma anche a livello fisico, influenzando i valori della pressione arteriosa, il processo di guarigione di una ferita ed il controllo del dolore.
Anche per questi motivi alcuni ospedali hanno utilizzato soluzioni piuttosto creative per garantire maggiore silenzio.
Per esempio, in alcuni reparti sono stati installati monitor che assomigliano a semafori. Se il numero di decibel dovesse aumentare, la luce diventerebbe prima arancione e poi rossa.
Altre strutture hanno posizionato pannelli assorbenti e apparecchiature in grado di riprodurre “rumori bianchi” durante la notte. Si tratta di un particolare tipo di suono caratterizzato dall’assenza di periodicità nel tempo e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze.
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