Nursing: Ritorno al futuro, parte I e parte II

Il Nursing in rapporto con il progresso scientifico e gli sviluppi socio culturali, 1994/2016  – Riflessioni “amare” di un’infermiera ostinata

Facendo ordine tra le mie scartoffie, mi ritrovo tra le mani un elaborato sul “Nursing in rapporto con il progresso scientifico e gli sviluppi socio culturali”, eseguito dalla sottoscritta nel lontano 1994, ultimo anno di Scuola Infermieri Professionali in quel di Giarre, provincia di Catania.

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Sapete, fa una strana sensazione rileggere ciò che si è scritto 22 anni prima. Si cambia, nel corpo e nella mente, e per quanto ci piaccia pensare di essere sempre giovani e immutati, così non è!

Due sono state le sensazioni che hanno fatto capolino dentro di me, la prima di infinita tristezza per le apparenti aspirazioni negate, la seconda di profonda riflessione su ciò che davvero era rimasto immutato e ciò che non lo era, ma che poteva essere stato semplicemente il frutto avvelenato della nostalgia e della frustrazione professionale, nella quale versano migliaia di professionisti Infermieri in tutta Italia, me compresa.

Infermieri sull’orlo di una crisi di nervi, parafrasando Almodovar.

I richiami cinematografici non finiscono qui. Il titolo di questo mio pezzo è un chiaro rimando ai film di Robert Zemeckis del 1985 e del 1989, il primo capitolo della trilogia ed il secondo.

Cosa c’entrano i due capitoli della saga cinematografica con le aspettative in parte negate di una giovane tirocinante infermiera ed il Nursing?

Se avrete voglia di rispecchiarvi in situazioni che molti di voi avranno vissuto in prima persona o di riflettere semplicemente su ciò che è stato nel corso di questi ultimi venti anni, questo è l’articolo che fa per voi.

Il richiamo ai film di R. Zemeckis, ha a che fare con le sensazioni scaturite dalla lettura dell’elaborato di cui sopra. Un viaggio nel tempo, un ritorno al passato come succede ai due protagonisti del film, interpretati da Michael J. Fox e Christopher Lloyd, nel primo capitolo della saga, ed un rapido cambio di scenario per fare un salto nel futuro, nel secondo capitolo.

Ma ritornando al mio elaborato, di seguito alcuni stralci che riporto fedelmente riguardanti il Nursing in rapporto al progresso scientifico e agli sviluppi socio culturali. Erano gli anni novanta, anni di grandi cambiamenti nel mondo sanitario. Cambiamenti che avrei vissuto da lì in avanti sulla mia pelle, come persona e come professionista.

Ritorno al futuro, Parte I: 1994

Il nursing – scrivevo – è un processo culturale, terapeutico ed educativo, attraverso il quale si cerca di realizzare concretamente il ripristino delle condizioni di benessere dell’utente. … Questo processo permette all’infermiere dotato di capacità intellettuali e tecniche di raggiungere l’obiettivo primario che è quello di ricostruire “l’uomo”, e in particolare di giungere alla soddisfazione dei bisogni di salute di quest’ultimo.

Ad una persona estranea al mondo della sanità potrà risultare difficile trovare un nesso tra situazione socio culturale e processo di nursing. Difatti, le due cose camminano di pari passo. Rifacendoci a quella che è la situazione italiana non ci è difficile dimostrare questa tesi e questo collegamento.

Dove maggiore è il benessere economico, mi riferisco alle regioni settentrionali d’Italia, è anche più frequente riscontrare la pratica attuazione di questo processo, con un riscontro positivo ampio sia in termini economici, che di soddisfazione personale, da parte dell’utente e da parte dell’infermiere.

Dove invece, lo sviluppo economico non si è ancora realizzato del tutto, si pensi alla quasi totalità delle Regioni meridionali, sembra impensabile poter riscontrare l’attuazione di questo processo e tanto meno la sua possibile futura attuazione. …

Nella realtà in cui io sono inserita debbo ammettere, che del processo di nursing si ha solo un vago presentimento; la maggior parte del personale infermieristico ignora cosa esso voglia dire e quale possa essere la portata di questo processo. …

Io credo, per quanto riguarda l’attuazione di questo processo, che tanto dipenderà da noi futuri infermieri. Non mi aspetto certo  che le cose cambino rapidamente e né facilmente, so bene che molti muri (fatti di ignoranza, pregiudizi e antiche reminiscenze, vedi il modello paramedico) dovranno essere abbattuti finché si possa, veramente, realizzare in modo soddisfacente tale processo. …

Sappiamo bene, purtroppo, in quali acque versi la nostra economia e soprattutto conosciamo i dissesti della nostra sanità, in cui i pazienti non sono sempre trattati come esseri umani che si trovano in una situazione assai particolare d’inferiorità e fragilità, date dalla malattia stessa, in cui le strutture non sono sempre all’altezza delle aspettative e in cui il divario tra costi effettuati e servizi resi è davvero abissale, in cui il personale (in particolare il nostro), non è sufficiente a garantire prestazioni di qualità, e in cui la professionalità non è sempre riconosciuta.

A fronte di questa situazione c’è la possibilità di migliorare l’assistenza, diminuire lo sperpero economico servendosi di un processo (quale è quello del nursing) che poggiandosi su basi solide quali l’organizzazione e la pianificazione, permette al sistema di togliersi di dosso inutili zavorre, che fanno del sistema sanitario un pesante pachiderma, che così com’è non riuscirà ad approdare in nessun posto.

Per finire, vorrei sottolineare i vantaggi  che da questo processo potrebbero trarre utenti e infermieri. L’utente comincerebbe ad avere la sensazione di non essere più un numero o una malattia, traendone giovamenti da un punto di vista psicologico; l’infermiere potrebbe solo così cominciare ad affermare la propria professionalità, traendone gratificazioni personali e potendo avanzare pretese per una più giusta collocazione di questa professione nell’ambito sanitario.

In definitiva, la mia aspirazione (mi rendo conto che non è di poco conto, e non è detto neanche che ci riesca) è quella di riuscire ad essere un’ottima infermiera e se ciò vuol dire abbandonare certi stereotipi sarò ben contenta di farlo, così come di continuare ad aggiornarmi e di realizzare tale processo, se ciò vorrà dire progresso e prestazioni di qualità e benessere dell’utente

”.

Ritorno al futuro, Parte II: 2016

Il Royal College of Nursing, nel 2014 nel suo “Defining nursing” ha dato del Nursing questa definizione: “Il Nursing è l’uso del giudizio clinico nell’erogazione dell’assistenza al fine di consentire alle persone di migliorare, mantenere o recuperare la salute, per far fronte a problemi di salute, e per ottenere la migliore qualità di vita possibile, qualunque sia la loro malattia o disabilità, fino alla morte”.

Questo documento vuole affermare l’unicità di un processo che è in carico al professionista infermiere. Di più, tende a far luce sui paradossi che riguardano la nostra professione e su ciò che bisogna saper comunicare ai pazienti a proposito di cosa debbano aspettarsi dai loro infermieri, perché altrimenti, laddove vi siano spazi comunicativi lasciati liberi, gli stereotipi forniti dai media prenderebbero il sopravvento.

Credo a distanza di ben 22 anni, di poter affermare senza ombra di dubbio, che la stragrande maggioranza degli infermieri facciano un buon uso del giudizio clinico, forse meno in alcuni contesti, di un modo organizzato di pianificazione del lavoro come può essere il processo di nursing. Io per prima sperimento ogni giorno nella pratica il pensiero critico che è alla base di qualsiasi capacità decisionale.

Molte cose sono cambiate dal 1994, a Settembre di quello stesso anno e dopo appena un paio di mesi dall’ottenimento del mio Diploma di Infermiera, veniva emanato il Decreto legislativo n. 739, il cosiddetto Profilo Professionale, di lì a qualche anno avrebbero abolito il mansionario con la legge n. 42/1999. Poi la riforma didattica che ha visto transitare la formazione degli infermieri dalle vecchie scuole Regionali alle Università. L’emanazione del Codice deontologico nel 2009. La legge sulla dirigenza, per finire con le polemiche dei giorni nostri sulle competenze avanzate.

Nella pratica assistenziale, a distanza di più di vent’anni posso ben affermare che a parte la parentesi lombarda che mi ha visto prestare il mio servizio in provincia di Varese per tre anni, del processo di nursing e delle sue fasi: 1) raccolta dei dati; 2) pianificazione; 3) attuazione; 4) valutazione o verifica di quanto fatto, ho visto poco o nulla. Difatti ho avuto la conferma di quanto i limiti finanziari e strutturali possano incidere sull’erogazione di standard elevati di assistenza.

Da un punto di vista tecnico è indubbio il salto di qualità avutosi in questi ultimi anni. Sono stata amaramente profetica quando dicevo di non aspettarmi grandi cambiamenti nel breve periodo, certo non mi sarei mai aspettata che la crisi economica si sarebbe inasprita a tal punto da determinare un blocco quasi totale del turnover e delle assunzioni.

Altro punto dolente quello del riconoscimento professionale ed economico di un professione, che non riesce a spiccare il volo e che più di tutto non riesce a far capire quale sia la sua specificità.

Come ci ricorda il documento emanato dal Royal College of Nursing, è indispensabile far capire alle persone chi sono gli infermieri e cosa compete loro e cosa agli altri professionisti. In tutto questo parte del problema è rappresentato dalle istituzioni che dovrebbero rappresentarci come la Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, e a cascata i nostri dirigenti e le Università che continuano a delegare la formazione infermieristica ai medici.

Fin qui abbiamo parlato solo di noi infermieri, ma in questo contesto cosa ne è dei nostri pazienti? I nostri pazienti continuano a soffrire sempre più di patologie croniche degenerative che avrebbero bisogno di un nuovo modo di erogare assistenza ed invece vengono lasciati in balia di se stessi e delle loro famiglie, quando va bene.

Continuano a persistere stereotipi e contraddizioni,  sempre più sull’orlo di una crisi di nervi noi infermieri, più vecchi, più soli nel fronteggiare una situazione sempre più al limite, afflitti da croniche carenze e da quel fardello di tipo non più paramedico ma ancillare, per cui tocca solo a noi infermiere sopperire alle carenze, non occasionali come i nostri rappresentanti vorrebbero farci credere, ma quotidiane.

Cosa non è cambiato nel corso di questi ultimi anni, la mia voglia di andare avanti impegnandomi nello studio e nella formazione e nell’intento di erogare assistenza di buona qualità, a dispetto di tutto, per tutti i miei pazienti.

Dico sempre che tra le cose che non potranno mai portarmi via, vi sono “ciò che sono e ciò che so”.

Decisa a non abbandonare il sentiero del miglioramento, che passa anche attraverso una buona assistenza e l’uso del pensiero critico, che deve essere la guida nell’agire di ogni infermiere, continuo imperterrita ad andare avanti portandomi dietro grandi aspettative. Mi auguro di non rileggere fra vent’anni queste righe sentendo il fallimento di un impegno, sempre teso al miglioramento.

L’assistenza infermieristica che è l’equivalente italiano di nursing richiede impegno, in termini di energia e tempo. Prendendo a prestito le parole di G. Marmo “La concezione di assistenza infermieristica è un patrimonio collettivo di una professione che, per essere legittimata socialmente, ha il dovere di rispondere delle proprie scelte culturali e sociali e dell’impatto che queste hanno sulla salute della società (accountability).

L’assistenza infermieristica richiede investimento di tempo e di energia: è necessario, quindi, un ripensamento della cultura organizzativa che dovrebbe porre l’organizzazione a servizio dell’assistenza e prendersi cura di chi si prende cura”.

Ritorno al presente. Da qui si riparte per dar voce a nuove esigenze e vecchie aspirazioni.

Rosaria Palermo

 

Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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