L’odore può essere uno strumento di diagnosi. Lo sanno bene i medici, che riescono spesso a riconoscere determinate patologie proprio in questo modo. Si pensi alla capacità di un gastroenterologo di capire dall’alito se un paziente abbia digerito del sangue. Oppure si pensi alla capacità di ginecologi e andrologi di diagnosticare la presenza di funghi e batteri mediante odori pungenti e insoliti. Analogamente l’alito dei diabetici presenta un odore fruttato in caso di scompenso nella glicemia.
Non è un caso se uno studio del Manchester Institute of Technology ha individuato tre composti organici volatili presenti con valori più alti nei pazienti affetti da alcune malattie (eicosano, acido ippurico e ottadecanale), e uno che invece tende a diminuire (aldeide perillica). Ricerche successive hanno poi identificato nel sebo umano circa 4mila composti, dei quali 500 si modificano nei soggetti che sviluppano il Parkinson.
Questa ricerca prende spunto dal caso di un’infermiera inglese Joy Milne (foto), che è stata in grado di percepire un cambiamento di odore della pelle del marito ben 12 anni prima che all’uomo fosse diagnosticato il Parkinson. La donna, che sin da piccola manifestava un’ipersensibilità agli odori, era in grado di percepire anche nei pazienti l’aroma dei corpi chetonici della malattia. Per questo aveva compreso che il marito, con lo stesso odore, potesse avere la medesima patologia, pur non manifestando all’epoca alcun sintomo.
Sottoposta ai test per la sua iperosmia, ossia una capacità olfattiva fuori dal comune, la signora Milne è sempre riuscita a riconoscere le persone sane da quelle affette da Parkinson. In un solo caso il soggetto era invece risultato sano, ma otto mesi dopo aveva comunque avuto la stessa diagnosi.
Il Parkinson non è l’unica malattia individuabile grazie all’olfatto o a un sistema elettronico messo a punto sulla base di questi recenti studi. Altre ricerche hanno dimostrato che con qualsiasi patologia il nostro metabolismo si modifica, provocando un’alterazione della composizione chimica dei fluidi corporei che porta alla produzione di composti organici volatili specifici e unici. Una sorta di “firma olfattiva”, insomma.
Se alcuni di odori sono percepibili anche da chi non ha un olfatto ipersensibile, la vera sfida è riuscire a individuare odori più lievi, che possono aiutare a identificare sin dallo stadio iniziale patologie più serie, come quelle neurodegenerative e oncologiche.
In Italia la collaborazione di Humanitas e Politecnico di Milano ha portato alla realizzazione di Diag-Nose, una sorta di “naso elettronico”, sul modello di quello dei cani, che fiuta nelle urine il tumore alla prostata con elevata accuratezza, e che negli stadi iniziali risulta essere preferibile alla tradizionale biopsia. Il prototipo messo in funzione sarebbe in grado di distinguere anche fra tumori a bassa o alta aggressività. I primi test clinici per validare il metodo sono previsti per la fine dell’anno.
Redazione Nurse Times
Fonte: Spazio50
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