In un recente caso giudiziario della Cassazione Civile è emersa un’importante decisione riguardante la responsabilità del ministero della Salute per la contrazione dell’epatite C (HCV) da parte di un infermiere deceduto. La sentenza ha scosso l’opinione pubblica e ha sollevato domande sulle responsabilità dell’ente governativo nella tutela della salute dei lavoratori del settore sanitario.
La vicenda risale al 1990, quando all’infermiere fu diagnosticata la positività all’HCV, una malattia che si aggravò nel corso degli anni fino alla morte, avvenuta nel 2007. I famigliari del lavoratore deceduto avanzarono una richiesta di indennizzo e risarcimento del danno parentale in base alla Legge 210 del 1992, sottolineando la correlazione tra l’HCV e l’esercizio delle mansioni di infermiere.
Tuttavia la richiesta dei famigliari è stata respinta. La sentenza della Cassazione ha infatti chiarito che per attribuire responsabilità al ministero della Salute è fondamentale individuare e provare il nesso causale tra l’operato dell’ente e la malattia professionale contratta.
La decisione della Cassazione ha sollevato diverse questioni, portando alla luce la necessità di una ricostruzione dettagliata della serie causale in casi di malattie professionali. In particolare, si è sottolineato che non sono stati indicati episodi specifici in cui la vittima potrebbe essersi infettata, né sono emerse prove che la stessa sia stata sottoposta a emotrasfusioni o che sia venuta in contatto diretto con il sangue di pazienti a rischio.
La sentenza della Cassazione evidenzia l’importanza di fornire prove concrete e di stabilire un chiaro nesso causale per attribuire responsabilità in casi di malattie professionali. In assenza di una ricostruzione dettagliata della serie causale il ministero della Salute è stato esentato da responsabilità per omessa sorveglianza nella contrazione dell’HCV da parte dell’infermiere.
Redazione Nurse Times
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