Ipertrofia prostatica: ottimi risultati dalla termoterapia con vapore acqueo

Il trattamento mininvasivo in uso all’Irccs Gemelli, denominato Rezum, consente di “vaporizzare” la prostata in pochi secondi per via endoscopica.

Una tecnica innovativa di trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna (IPB), messa a punto negli Usa, che sfrutta il vapore acqueo. Si chiama Rezum e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs si avvia a diventare il centro di riferimento nazionale per questo trattamento.

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Si tratta di una metodica mininvasiva (effettuata per via transuretrale) che rilascia energia termica sotto forma di vapore acqueo sterile e caldissimo. Il vapore acqueo è in grado di distruggere il tessuto prostatico che crea ostacolo allo svuotamento della vescica. La vaporizzazione del tessuto prostatico avviene iniettando per via endoscopica il vapore in più punti della prostata attraverso un ago, in base al volume della ghiandola: ogni puntura dura nove secondi. Il risultato è apprezzato dal paziente dopo circa un mese. L’intervento, di brevissima durata, si può effettuare in anestesia generale o locale.

“Nel paziente giusto, cioè quello con la prostata medio-piccola, questa tecnica è risolutiva e i suoi effetti sono duraturi negli anni, come dimostra uno studio americano della Loyola University”, spiega il professor Pierfrancesco Bassi, direttore della UOC di Urologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e professore ordinario di Urologia all’Università Cattolica, Campus di Roma.

La termoterapia con vapore acqueo è l’ultimo nato tra i trattamenti mini-invasivi (MIST, Minimally Invasive Surgical Treatments) per l’IPB, dominati finora dalla laser terapia, che rappresenta ancora la prima scelta nel caso di prostate voluminose. Rezum sfrutta le radiofrequenze

per produrre energia termica sotto forma di vapore acqueo. Il mini-getto di vapore caldissimo (540 calorie per millilitro di acqua) distrugge il tessuto prostatico ridondante, senza danneggiare le strutture circostanti.

“A soffrire di IPB sintomatica – spiega Bassi – è il 30% degli italiani over 60. I sintomi che devono far pensare a una ipertrofia della prostata sono la difficoltà nella minzione, un incompleto svuotamento della vescica, la riduzione del getto dell’urina, urinare molto spesso e con urgenza, svegliarsi più di una volta la notte per urinare. Attenzione a non trascurare né a sottovalutare questi sintomi, perché sono in comune sia all’ipertrofia prostatica benigna che al cancro della prostata. Un primo aiuto nella diagnosi differenziale viene dal dosaggio del PSA nel sangue, che, se normale, orienta verso una patologia benigna”.

Lo studio dell’ipertrofia prostatica prevede l’esecuzione dell’ecografia dell’addome e dell’uroflussometria, esame semplice, che misura obiettivamente il modo di urinare del paziente. Fatta la diagnosi, il trattamento è in prima battuta di tipo farmacologico: nel 70% dei casi si riesce a trattare con successo la malattia.

“Solo nei casi che non rispondono alla cura farmacologica si procede all’intervento disostruttivo – conclude Bassi –. Le moderne tecniche offrono un trattamento rapido, poco invasivo, ben tollerato ed efficace: laser in caso di prostate di grande volume; vapore acqueo per volumi prostatici medio bassi. I tradizionali trattamenti, come la resezione endoscopica (TURP), e tanto più gli interventi chirurgici invasivi sono riservati oggi a rari casi”.

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