Intervista a Giulia, che ha annientato il cancro per diventare infermiera

“Giurai a me stessa che da grande avrei fatto qualcosa per gli altri…così da restituire tutto il bene che avevo ricevuto come paziente”. Giulia Venosta, studentessa universitaria di Morbegno (Sondrio), da bambina ha sconfitto una leucemia mieloide acuta. Oggi, memore dell’esperienza vissuta all’interno del reparto di Ematologia Pediatrica dell’ospedale San Gerardo di Monza, studia per diventare infermiera. Ce lo racconta in una bella intervista, in esclusiva per Nurse Times

“Non appena la guarigione è avvenuta, esci e guarisci qualcun altro”. (Maya Angelou)

In breve… chi è Giulia?

Ho quasi 21 anni, abito in provincia di Sondrio insieme alla mia famiglia e studio infermieristica all’università di Milano Bicocca (Monza). Sono una ragazza universitaria come tante altre, solo che quello che mi porto dentro…non è una cosa molto comune.  Io sono una sopravvissuta al cancro.

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Eri solo una bambina, quando hai dovuto affrontare questa dura battaglia…

Eh sì. Era da un po’ di tempo che non stavo bene: avevo sempre la febbre, ero molto spesso stanca e senza forze; inoltre, quando cadevo giocando, le mie ferite facevano molta fatica a guarire. Così, all’età di soli 9 anni, mi è stata diagnosticata la Leucemia Mieloide Acuta.

Dopo aver eseguito vari esami, esattamente 2 giorni dopo il mio nono compleanno sono stata ricoverata d’urgenza all’ospedale San Gerardo di Monza, nel reparto di Ematologia Pediatrica. Ricordo che il medico, con l’aiuto di disegni e fumetti, mi spiegò che nel mio sangue c’era qualcosa che non andava… e che bisognava sconfiggere le cellule cattive.

Ero solo una bambina e sono stata catapultata di colpo in un mondo totalmente diverso da quello dei miei coetanei… che pian piano, però, per me è diventato una seconda famiglia.

 Una seconda famiglia… parlacene.

Il reparto di Ematologia Pediatrica è un “piccolo mondo a parte”, dove ci sono tante persone meravigliose: medici, infermieri, assistenti, volontari, insegnanti, animatori… tutti uniti per raggiungere lo stesso obbiettivo: far star bene i piccoli pazienti, colpiti senza pietà dal cancro, e le loro famiglie.

Lì tutti imparano a crescere in fretta, ad essere forti, a sorridere nonostante tutto, a darsi una mano, a combattere, a stringere i denti e ad andare avanti sempre. Non puoi fare altrimenti. Affronti ostacoli così grandi che molti non immaginano nemmeno… e diventi più forte, diventi una guerriera! Lì non ti senti diverso… tutti i bimbi sono uguali. Senza capelli, sì, ma con occhi grandi e tantissima forza!

Ho dovuto lasciare la mia casa di Morbegno e i miei affetti per trasferirmi con mia madre in una grande cascina con molti appartamenti creati per le persone che, come me, abitavano troppo lontane e che avevano la necessità di stare vicino all’ospedale. C’erano tanti bambini, provenienti da varie parti dell’Italia e non solo. E nonostante i problemi, cercavamo di vivere la nostra vita normalmente, giocando e andando a scuola.

Dopo un po’ di tempo, per forza di cose, condividendo tutti lo stesso male e combattendo tutti la stessa battaglia, si diventa una sorta di grande famiglia.

Ho visto tanta sofferenza, per essere solo una bambina… ma anche tanto amore e tanti sorrisi. Ho così imparato ad essere felice… perché quando passi interi mesi in un reparto oncologico pediatrico, ti accorgi di quanto poco basti per esserlo.

Come hai vinto il cancro?

I medici si stupivano della mia energia, della mia forza, della mia voglia di giocare e di sorridere sempre; per loro ero “la bambina che sorride sempre”. E forse anche e soprattutto per questo rispondevo bene alle terapie.

Non so esattamente dove io abbia trovato  tutta quella vitalità. Forse, essendo cosi piccola, non ero molto consapevole della gravità della mia condizione… forse ero circondata da persone straordinarie, che mi tranquillizzavano e mi facevano sentire speciale… forse è stata la vicinanza della mia mamma. Fatto sta che non mi sono mai sentita una semplice bambina malata, ma una guerriera che combatteva per liberare il suo corpicino dalle cellule cattive e che lottava per vivere.

Comunque… dopo 5 cicli di chemioterapia (ognuno dei quali accompagnato da una biopsia per controllare il midollo, molto dolorosa per una bambina), nel luglio del 2006 fu il momento del trapianto autologo di cellule staminali e andò tutto bene; tanto che mi tolsero subito la terapia, il catetere e dopo pochi mesi ero già a scuola.

Ma non era finita…

Dopo un anno e mezzo, durante un controllo, ci rendemmo conto che la malattia era tornata… e fu un vero trauma. Lo ricordo come fosse ieri, quel maledetto giorno. Il dispiacere nelle parole del medico, la paura negli occhi dei miei genitori, le mie lacrime, un ritorno a casa in macchina dove nessuno osava parlare. Solo una cosa sapevamo: qualche giorno dopo dovevamo tornare a Monza e ricominciare da capo; ma questa volta sarebbe stata più dura. Ero piccola e non lo sapevo, ma la “mia” leucemia, in recidiva aveva solo il 20% di possibilità di guarigione. E così caddero di nuovo tutti i miei capelli…

Stavolta, dopo i vari cicli di chemio, era previsto un trapianto da donatore esterno; opzione che di solito è considerata l’ultima spiaggia, in quanto può essere molto rischioso. Ma sarebbe stata l’unica potenziale soluzione. Così iniziò la snervante attesa… fino a che, dopo qualche mese, arrivò la bella notizia: “abbiamo trovato un donatore compatibile, è tedesco, è lui che ti donerà il suo midollo”. Non dimenticherò mai, quella frase…

Il 3 aprile 2007, dopo una settimana trascorsa in una camera sterile (sono stata sottoposta al “condizionamento”, cioè ad una chemioterapia non-stop per distruggere completamente il  mio midollo che non funzionava più), fu il grande giorno. Il giorno del trapianto, dove sono nata una seconda volta.

Perché dal momento dell’infusione, il mio corpo ha iniziato finalmente a riprendersi e a ricostruire tutto il suo sistema immunitario. Il mio midollo “tedesco” funzionava alla perfezione! Dopo un mese dalla procedura, vissuta senza complicanze, sono stata dimessa e poco dopo mi hanno stoppato tutti i farmaci.

Quindi, nel giro di pochi mesi, ho ripreso fortunatamente una vita normale: scuola, sport, amici, ecc. Ero felice… perché durante la guarigione, si percepisce qualsiasi cosa come una grande gioia. È la vita che si desta e, pian piano, riprende vigore.

Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto, la malattia?

Solo quando sono cresciuta, ho preso piena consapevolezza di tutto ciò che ho passato e superato; e mi sono resa conto che sì, la vita molto spesso è ingiusta… ma che io sono stata davvero molto fortunata, perché ci sono ancora molte persone che non ce la fanno.

Oggi ho tante domande in testa. Quesiti a cui, molto probabilmente, non avrò mai risposta. A volte per me è difficile convivere con questi pensieri, ma ora ho la giusta energia per andare sempre avanti e per non mollare mai. Determinate esperienze ti rendono più sensibile nei confronti del valore della vita…

La malattia mi ha tolto tanto, questo sì: i pomeriggi con gli amici, la spensieratezza della mia giovanissima età, lo sport, i miei capelli, l’appetito, tanti chili e molto altro. Ma io penso che mi abbia dato molto di più. Mi ha dato possibilità di fermarmi, di guardarmi dentro, di riflettere sulle cose davvero importanti di questa nostra esistenza terrena e di apprezzarla sempre con i suoi alti e bassi; ma soprattutto, di trovare dentro di me una grande forza, la giusta determinazione per affrontare gli ostacoli e tanto coraggio: tutte cose che non avrei mai pensato di possedere.

Hai deciso di diventare una infermiera… perché? Raccontaci di questa tua scelta: da dove nasce, quando matura e cosa ti aspetti dal futuro come professionista sanitaria.

Dopo la malattia, giurai a me stessa che da grande avrei fatto qualcosa per gli altri… così da restituire tutto il bene che avevo ricevuto come paziente. Volevo diventare brava come chi mi ha aiutato durante il percorso di cura ed ha reso la mia malattia meno dura da affrontare. Così, nel 2015, mi sono iscritta alla Facoltà di Infermieristica.

Perché proprio infermiera? Perché, al di là delle competenze, l’infermiere è il professionista che istaura un rapporto diretto con il paziente e con la sua famiglia. Un rapporto speciale, che deve essere basato su fiducia e rispetto. Io vorrei questo tipo di interazione, con chi curo e/o aiuto.

Mi ricordo di tutti gli infermieri incontrati durante il mio cammino: persone che erano sempre pronte ad ascoltarmi, a parlare, a spiegarmi ciò che succedeva. Avevano sempre un momento per una parola dolce, per un abbraccio, per un’attenzione spesso tanto piccola quanto azzeccata.

Voglio diventare infermiera perché penso che aiutare gli altri sia ciò che più mi faccia sentire viva e utile. E poi… chi meglio di una persona che ha vissuto sulla propria pelle la sofferenza, può capire una persona in difficoltà? Penso di avere tanto da donare agli altri.

Io vorrei  fare della mia guarigione un messaggio positivo da trasmettere alle persone in difficoltà. Perché a volte le persone hanno solo bisogno di un motivo per crederci un po’ di più… e hanno bisogno anche di essere consolate quando hanno paura, di essere sostenute, di avere un punto di riferimento quando si sentono sole e smarrite. A me verrà molto naturale essere tutto questo. E più passa il tempo, facendo anche le prime esperienze in reparto come tirocinante,  più sono certa di avere intrapreso la strada giusta.

Il futuro? Beh, una volta laureata vorrei prendere un master in pediatria e andare a lavorare in un reparto pediatrico. Inutile dire che tornare in ematologia, con una divisa da infermiera, non mi dispiacerebbe affatto… stare accanto ai bambini e alle loro famiglie, infatti, è la cosa che desidero di più.

La vita mi ha fatto vincere contro il cancro, mi ha dato una seconda possibilità. Ed è mia intenzione sfruttarla al meglio.

Svolgi anche attività di volontariato presso l’Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO)… parlaci di questa tua attività e delle iniziative più rappresentative che l’ADMO utilizza per informare la popolazione.

Mi sono iscritta ad ADMO come volontaria, per sensibilizzare la gente ad iscriversi e a donare il proprio midollo osseo… perché donare salva davvero la vita e qui in Italia i donatori sono ancora troppo pochi. Iscriversi non costa nulla… ma è di vitale importanza per chi aspetta una chiamata, come quella che mi ha annunciato la salvezza quando ero piccola.

Le persone pensano che donare sia rischioso o faccia male, ma in realtà non è così. Esistono due tipi di donazione: una consiste nel prelievo delle cellule staminali dalle ossa del bacino in anestesia generale, la seconda avviene come un normale prelievo di sangue dopo aver eseguito per alcuni giorni una terapia che aumenta la produzione del midollo. Serve solo un po’ di coraggio… quello che ha avuto il mio donatore tedesco, senza il quale oggi non sarei qui. Non finirò mai di ringraziarlo.

Recentemente, nella mia provincia, noi dell’ADMO abbiamo iniziato un’opera di sensibilizzazione nelle scuole superiori e secondo me è qualcosa di molto importante: portare ai ragazzi, infatti, la testimonianza di una persona sottoposta ad un trapianto e poi  guarita come me, può avere un grande impatto su di loro ed invogliarli ad ascoltare, a farsi delle domande e ad interessarsi all’argomento.

Grazie per questa tua importantissima testimonianza, sorridente “guerriera che combatteva per liberare il suo corpicino dalle cellule cattive”… domani, grazie a ciò che hai vissuto, sarai una grande infermiera. In bocca al lupo!

Alessio Biondino

Immagini: Facebook

 

Redazione Nurse Times

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