Infusioni endovenose: soluzione fisiologica o Ringer lattato?

I risultati di numerosi studi sembrano indicare una maggior efficacia dei fluidi bilanciati rispetto a quelli salini.

Chiunque di noi si rechi al pronto soccorso potrà notare che la maggioranza dei pazienti in attesa di una conferma diagnostica, di un trasferimento o solo di un trattamento prima delle dimissioni, hanno in corso un’infusione endovenosa.

L’infusione di gran lunga più utilizzata in tali contesti di cura (ma non solo) è la soluzione salina. Pensate che ogni anno, solo negli Stati Uniti, ne vengono utilizzati oltre 200 milioni di litri. Utilizzata principalmente come trattamento per la disidratazione, la normale soluzione fisiologica viene somministrata, senza pensarci due volte, per un’infinità di condizioni.

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Per un utilizzo così estensivo ci saremmo aspettati che la soluzione salina fosse stata accuratamente studiata e perfezionata nel corso degli anni, ma a quanto pare non è così. I fluidi per via endovenosa sono stati inventati in Inghilterra nei primi decenni del XIX secolo per il trattamento del colera, che portava alla morte le persone colpite a causa della disidratazione e della diarrea.

Un medico scozzese, Thomas Latta sviluppò, proprio durante l’epidemia di colera, una soluzione di acqua salata per reintegrare le perdite di liquidi attraverso un’infusione endovenosa. Il primo trattamento con infusione di soluzione salina fu eseguito a una donna che era sul punto di spirare e che si riprese dopo la somministrazione di sei pinte di fisiologica. I risultati, davvero “notevoli” come li definì The Lancet, furono pubblicati nel mese di giugno del 1832.

Intorno al 1880 un fisiologo e farmacista di nome Sidney Ringer creò una soluzione contenente sodio, potassio e cloruro di calcio in concentrazioni simili al sangue. È ancora in uso oggi ed è il Ringer lattato. L’origine della normale soluzione fisiologica è stata rintracciata in uno studio del 1883 di uno scienziato olandese dal nome Hamburger. Il suo lavoro suggeriva, erroneamente, che la concentrazione di sali nel sangue umano era dello 0,9 %. Sosteneva, inoltre, che una soluzione di uguale concentrazione sarebbe stata una composizione “fisiologica” per i liquidi da infondere per via endovenosa. Da qui il nome.

Sorprendentemente, l’ascesa della normale soluzione salina come fluido EV di base sembra essere stata basata esclusivamente sui quei primi esperimenti. “Rimane un mistero che sia entrato nell’uso generale come soluzione endovenosa”, ha scritto un gruppo di medici britannici nel 2008, rilevando l’assenza di altri dati sperimentali a supporto. “Forse è stato dovuto alla facilità, alla praticità e al basso costo della miscela di sale con della comunissima acqua”.

A quanto pare, la soluzione fisiologica non è veramente tale. Il livello medio di sodio in un soggetto sano è di circa 140 mEq/L. Per il cloruro, il livello medio è di circa 100 mEq/L. Ma la concentrazione di sodio e cloruro nella normale soluzione salina è di 154 mEq/L. Inoltre, a dispetto del fatto che sia comunemente chiamata anche soluzione isotonica

, il suo livello di osmolarità è leggermente più elevato rispetto al sangue  ed è di circa 300 mOsm/L.

A partire dagli anni Ottanta i ricercatori hanno iniziato a studiare se le maggiori concentrazioni di cloruro presenti nelle soluzione saline potessero avere effetti negativi. Ma è solo negli anni Novanta che alcuni scienziati hanno dimostrato che l’alto livello di cloruro nella normale soluzione salina avrebbe potuto provocare stati di acidosi metabolica.

Nel 2012 i ricercatori hanno esaminato un database di pazienti a cui erano state infuse soluzione salina e soluzione bilanciata, come il Ringer, durante l’intervento e hanno confrontato complicanze e mortalità tra i gruppi. I risultati sono stati sorprendenti: la mortalità era stata del 2,7% più alta in quelli che avevano ricevuto soluzione salina, e le complicazioni più comuni. Nello stesso anno alcuni medici australiani hanno dimostrato che i pazienti in terapia intensiva trattati con fluidi ricchi di cloruro avevano avuto quasi il doppio del tasso percentuale di danno renale rispetto a quelli trattati con fluidi bilanciati.

Nel 2013 un’altro studio ha dimostrato un aumento della mortalità e della degenza ospedaliera prolungata nei pazienti chirurgici che avevano ricevuto una soluzione salina normale. E l’anno seguente, i ricercatori della Duke University hanno scoperto che i pazienti con sepsi avevano un aumento del 3% del tasso di mortalità quando venivano trattati con fluidi salini piuttosto che con fluidi bilanciati.

Tutti questi studi, però, presentavano dei grossi limiti e non erano studi randomizzati e controllati, che rappresentano il gold standard per la ricerca scientifica. Ma uno studio pubblicato quest’anno sul New England Journal of Medicine potrebbe aver “spostato l’ago della bilancia”, secondo l’autore principale, il dottor Matthew Semler, a favore del Ringer lattato.

La sua equipe ha studiato 15mila pazienti di terapia intensiva e ha scoperto che quelli che avevano ricevuto come infusione Ringer lattato, rispetto a quelli del gruppo di controllo a cui avevano somministrato soluzione fisiologica, avevano avuto risultati migliori in termini di mortalità, necessità di fare dialisi e danni renali persistenti, sebbene si trattasse di un solo punto percentuale di differenza a favore del Ringer lattato.

Il dottor Semler ha affermato: “Ci sono 5 milioni di pazienti ricoverati in terapia intensiva negli Stati Uniti ogni anno. Per ogni 100 pazienti trattati con fluidi bilanciati anziché salini, un paziente in meno sperimenterebbe la morte, la dialisi o problemi renali persistenti. Poiché decine di milioni di pazienti ricevono questi liquidi ogni anno negli Stati Uniti, semplicemente passando da una soluzione all’altra potremmo cambiare i risultati attesi per molti pazienti”.

Credo che, per effetto dei risultati di questi studi, guarderemo alle soluzioni che infondiamo ogni giorno ai nostri pazienti con occhi nuovi.

Rosaria Palermo

Fonte: https://www.npr.org/sections/health-shots/2018/03/31/597666140/why-did-sterile-salt-water-become-the-iv-fluid-of-choice

 

Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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