Il sole era molto caldo quel giorno, ed i suoi raggi erano così rossi da sembrare fasci di fuoco. Attraverso le finestre sfioravano i letti della nostra terapia sub intensiva.
Lei seduta alla sedia, lui nel letto. Carla, avvolta nella sua vestaglia blu, non aveva occhi che per lui. Sembrava controllare ogni suo movimento, ogni suo respiro.
Paolo non aveva la possibilità di conversare con lei, così come avevano fatto per una vita intera. La malattia lo aveva portato ad una condizione irreversibile. Non solo era bloccato dalla CPAP, che proprio non tollerava, ma non aveva neanche più le forze per parlare.
Però la guardava sempre.
La prima ad essere arrivata era stata Carla. Con un modesto e lento recupero, stava migliorando la sua condizione di salute di giorno in giorno.
Ci chiedeva sempre di suo marito che era arrivato in pronto soccorso due giorni dopo di lei. Per Carla era stato trovato velocemente un posto da noi: era stata abbastanza fortunata.
Di Paolo, lei non aveva notizie certe: tutta la sua famiglia era risultata positiva al covid-19, e quasi tutti necessitavano di un ricovero in ospedale.
Un giorno, mentre Carla era al proprio letto di degenza in fondo alla sala, arrivò un nuovo ricovero: nella barella di bio-contenimento c’era un uomo monitorizzato, con CPAP al viso, flebo in corso, ed agitato.
Era un groviglio di cavi e tubi, di allarmi ed urla. I suoi occhi sbarrati ci confermavano ciò che era facile immaginare: quell’uomo era completamente nel panico.
Con non poca fatica, lo portammo al letto per cominciare a prendere i suoi parametri vitali. Prese le carte del pronto soccorso, cominciai a cercare i suoi dati personali e… non ci potevo credere.
Istintivamente alzai lo sguardo e lo puntai verso il fondo della sala: Carla si era alzata dal letto, e ci osservava. Un velo di ansia la avvolgeva, quasi come se avesse capito prima di noi cosa stava succedendo.
Sarà che il nostro stato d’animo viene costantemente messo sotto pressione, sarà che di storie così ne vediamo sempre più spesso… sarà che speravo da giorni, con tutte le mie forze, di non ritrovarmi nella condizione di essere di fronte a suo marito, per non vivere così da vicino un tale dramma familiare.
Sarà che in un intero anno di Covid ho visto e vissuto di tutto, ma ero completamente devastata.
Appena stabilizzato Paolo, andai subito in una stanza vuota del reparto, e mi affacciai alla finestra: mentre guardavo distrattamente le ambulanze che sostavano, dissi tra me e me che non avrei dovuto bloccare la mia tristezza anche questa volta, e che forse sarebbe stato meglio farla uscire fuori, almeno quel giorno, e sfogarmi, concedermi una debolezza, per avere la possibilità di tornare a lavoro più forte e concentrata di prima.
Piansi così tanto da appannare i miei occhialini protettivi.
Dopo qualche minuto, riuscii a calmarmi e rimettermi in ordine, e tornai in sala. Paolo era così agitato da trasmettere un senso di disperazione anche nei miei colleghi. Era davvero tremendo vederlo soffrire così, ed era altrettanto straziante vedere sua moglie piangere dall’altro lato della sala. Il mio collega decise perciò di darle la mano e portarla dal marito: come i loro occhi si incrociarono, Paolo improvvisamente smise di gridare, e accennò un sorriso. Aveva trovato il suo angelo.
Nei primissimi giorni Carla ci chiedeva se Paolo potesse guarire e tornare a casa insieme a lei ma, una volta capita la gravità della situazione, ed avendo visto con i propri occhi le sofferenze di Paolo, aveva capito che doveva smettere di sperare.
Quel pomeriggio, con il sole rosso come il fuoco, Carla stringeva la mano di Paolo. E io osservavo questo amore aggrapparsi a quel momento.
Ancora oggi, mentre scrivo, mi sembra di vivere quella scena: appoggiata al muro, tutta bardata, osservo da lontano, per non disturbare, Carla e Paolo guardarsi negli occhi e continuare ad amarsi dopo così tanti anni di matrimonio.
Credo che ricorderò sempre questa immagine, anche quando questa brutta pandemia sarà solo un lontano ricordo. E sono sicura che mai dimenticherò cosa ha significato per me incrociare queste due anime buone.
I miei colleghi mi hanno raccontato che il giorno dopo Paolo era più tranquillo del solito, ed era riuscito a chiamare la moglie per nome. Si erano abbracciati. Dopodiché, qualche ora dopo, Paolo aveva deciso di andarsene.
Quello stesso giorno Carla aveva avuto la notizia che sarebbe stata dimessa, e sarebbe potuta tornare a casa. Non l’ho più rivista. Di loro avrò sempre in mente quel bellissimo pomeriggio di Marzo.
Biscosi Francesca
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