Infermiere dell’Emergenza

Il ruolo dell’infermiere nella medicina dello sport e in camera iperbarica

Gli obiettivi che ci siamo proposti con questo articolo, si propongono di indagare l’attuale ruolo dell’infermiere nella medicina dello sport e di dimostrare che questo ruolo può vedere un ulteriore ampliamento. Inoltre vorremmo capire la posizione dell’assistenza infermieristica nella subacquea sportiva oggi e in una prospettiva futura.

La medicina dello sport studia l’influenza dello sport, dell’allenamento e della mancanza di esercizio su tutte le persone, sane e malate.

Le attività sportive si dividono in 4 fasce, in ciascuna delle quali la medicina sportiva ha un ruolo preciso. Vi sono gli sport accessibili a tutti, come il calcio o il nuoto, per questi la medicina dello sport si occupa di prevenzione.

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Vi sono poi gli sport praticati da persone portatrici di handicap, come la subacquea o la vela, qui si occupa di terapia e di riabilitazione.

Inoltre vi sono gli sport di elevato impegno fisico, come la maratona per i quali si occupa di educazione sanitaria e pianificazione dell’allenamento, dell’alimentazione. Infine per gli sport di eccezionale impegno fisico, come l’apnea profonda si occupa di ricerca sul corpo umano in condizioni estreme.

Dal proprio profilo professionale l’assistenza infermieristica può avere luogo in quasi tutti questi campi sucitati, per cui particolarmente applicabile in medicina dello sport.

Il movimento in generale e lo sport in particolare costituiscono importante fattore di prevenzione delle malattie e di riabilitazione da situazione di disagio. Inoltre come sottolinea il nostro codice deontologico, l’infermiere ha il dovere di tutela della salute.

In base a questi riferimenti, riteniamo pertinente un impegno del professionista infermiere nella promozione della salute con lo sport e l’educazione ad esso nelle scuole, nei centri sociali, nelle associazioni sportive.

La normativa in tema di medicina sportiva è regionale. In Emilia Romagna, essa non prevede un ruolo attivo dell’ infermiere, mentre in altre regioni questa figura è presente e richiesta negli ambulatori con competenze di natura tecnica e relazionale.

La scelta di indagare lo sport della subacquea è avvenuta per passione verso questo sport e scegliendo il tirocinio “a scelta” (non previsto dal corso di studi) presso il Centro iperbarico di Ravenna, e dopo aver constatato che la preparazione generale degli infermieri usciti da tale percorso di studi, su come assistere un subacqueo incidentato, era veramente scarsa.

La subacquea è uno sport che può portare molti benefici: a livello psicologico (dà il piacere del contatto con la natura, di conoscere e rispettare i propri limiti, dell’autocontrollo, di fidarsi degli altri), e a livello fisico per l’intenso lavoro con importante consumo calorico legato a molti fattori.

Come in qualsiasi sport, anche nella subacquea possono  avvenire incidenti per cause diverse: squilibri pressori, cause chimiche, cause fisiche.

Tra queste ultime vi è l’incidente da decompressione, cioè la formazione di bolle di azoto all’interno del circolo ematico e dei tessuti per la mancata eliminazione normale dell’azoto in seguito all’immersione.

Le bolle di azoto, oltre ad un danno meccanico (formazione di embolo) causano anche un danno chimico, cioè vengono riconosciute come corpi estranei quindi stimolano una risposta immunitaria causando infiammazione.

Le ultime frontiere confermano che l’incidente da decompressione dipende anche dalla composizione genetica (variazione di un gene responsabile della mancata formazione del Monossido di Azoto, che ha una elevata gamma di benefici e azioni nel nostro corpo).

L’esito dell’incidente dipende da un insieme di fattori a partire dal riconoscimento dei segni e sintomi tempestivamente, da un primo soccorso efficace, dal trasporto in ambulanza con assistenza adeguata, dal trattamento in camera iperbarica secondo le tabelle de compressive US Navy e successivamente, di eguale importanza dalla riabilitazione. L’infermiere ha un ruolo in tutte queste fasi, anche nella prevenzione degli incidenti.

In camera iperbarica esso ha un ruolo più consolidato.

L’infermiere assiste i pazienti in toto: previene gli incidenti all’interno della Camera, sovrintende al trattamento, educa il paziente sulla terapia, sulla fisiologia dell’ossigeno iperbarico, sui benefici che si ottengono e quali potranno essere i primi segni “normali” che sentirà nei giorni successivi (es. miglioramento della vista è il primo beneficio che risponde prima di ogni altra risposta, stanchezza iniziale, ma recupero di energie in seguito).

Insegna soprattutto a compensare e quindi evitare barotraumi durante il cambiamento della pressione dell’aria, ad assistere e tranquillizzare persone che soffrono di claustrofobia attraverso la comunicazione efficace.

Eseguire efficacemente la terapia, non dimentichiamoci che l’ossigeno in questo caso è un farmaco e per essere efficace deve essere preso alla giusta dose terapeutica per ottenere un beneficio di cura.

La gestione delle flebo all’interno della camera (rigorosamente flaconi di plastica), gestione dell’accesso venoso in modo che la pressione non permetta introduzione di bolle di aria o aumento improvviso della velocità di infusione, accessi di valvole di drenaggi presenti, gestione di dispositivi medici come la TPN (terapia a pressione negativa).

Gestisce il paziente diabetico monitorando la glicemia prima durante e dopo la terapia. In camera iperbarica, l’ ossigeno aumenta il metabolismo cellulare e di media si spendono quasi 800 calorie per ogni seduta di 90 minuti (60 di ossigeno puro). Questo comporta che i pazienti devono avere mangiato prima della terapia (spesso capita che chi manda i pazienti ricoverati consiglia digiuno rischiando ipoglicemia), e il paziente diabetico è preferibile che l’abbia piuttosto alta la glicemia rispetto alla media e che non faccia insulina altrimenti rischia un calo zuccheri ed andare in ipoglicemia.

Agisce inoltre tempestivamente  in caso di emergenza: epilessia, infarto del miocardio, edema polmonare, ecc.

Abbiamo seguito la storia di Andrea, ragazzo di 38 anni, che dopo un’immersione ricreativa presentava un incidente da decompressione con sintomatologia neurologica (una delle più gravi) in quanto le bolle di azoto hanno causato un danno importante a livello del midollo spinale con conseguente difficoltà a camminare (evolutasi poi in paraplegia), dolori alla schiena e ritenzione urinaria.

La tempestività di intervento del team di cui Andrea fa parte è stata fondamentale, chiamando il DAN Europe, la rete mondiale per il soccorso dei subacquei, praticando un primo soccorso e attivando l’ambulanza per il trasporto immediato al primo centro iperbarico di Pola (Croazia).

Secondo accordi, Andrea successivamente viene trasferito al Centro Iperbarico di Ravenna,  riconosciuto come centro di eccellenza per incidenti di questo tipo.

Durante il viaggio in ambulanza Andrea è assistito da un’ infermiere esperto nella gestione di queste emergenze, il quale provvede non solo la somministrazione di ossigeno, liquidi e monitoraggio dei parametri vitali, ma anche riconoscimento di eventuale evoluzione dell’ incidente da decompressione.

Dopo essere stato accolto al Pronto Soccorso e ricoverato in neurologia, Andrea viene sottoposto al primo trattamento iperbarico di durata di circa 9 ore, come da protocollo. Trattamento effettuato con miscele gassose composte da ossigeno ed elio.

All’interno della camera viene accompagnato da un’infermiere esperto che si occupa dell’assistenza in toto: mobilità, alimentazione, controllo degli sfinteri (vescica neurologica) eliminazione e supporto psicologico, somministrazione dei farmaci.

Già dopo la prima seduta Andrea ha cominciato a muovere i piedi, anche se il lavoro di riabilitazione è stato ancora lungo, ma, grazie ad un lavoro multidisciplinare e multiprofessionale  tra infermieri, medici iperbarici, fisiatri, neurologici, psicologi e fisioterapisti (che insieme all’infermiere eseguivano la fisioterapia all’interno della camera iperbarica durante la respirazione con ossigeno) al momento della dimissione Andrea è tornato nelle condizioni precedenti l’incidente.

In conclusione confermiamo  che il ruolo dell’infermiere può trovare un ulteriore sviluppo all’interno della medicina dello sport non solo a livello ambulatoriale ma anche sul territorio come promotore della salute attraverso lo sport.

Per quanto riguarda la subacquea sportiva, vediamo l’infermiere come collaboratore con associazioni sportive e centri diving per organizzare corsi BLS e aggiornamenti, come consulente nella rete del DAN per i colleghi infermieri che si ritrovano a intervenire negli incidenti subacquei.

In altri paesi esistono delle associazioni degli infermieri iperbarici i quali si scambiano consigli ed esperienze per ampliare le conoscenze in questo campo e ci auguriamo che questo avvenga anche in Italia.

I primi passi sono stati già fatti con la nascita del Master in Infermieristica del mare all’università degli studi di Roma ‘’La Sapienza’’ che preparava l’infermiere alla prevenzione e al trattamento degli incidenti che riguardano il mondo marittimo, sulle navi e nelle zone balneari.

Ma non ha avuto il successo che meritava e purtroppo non è stato più riproposto. Ci auguriamo che possa nascere  la possibilità per poter approfondire le competenze in Infermieristica Iperbarica, non ancora prevista nello sviluppo della nostra professione, anche perché la tipologia dei pazienti da trattare non è limitata al mondo subacqueo.

Quello è stato solo l’inizio. Ora si trattano patologie dell’orecchio (acufeni e sordità improvvise, sindrome di Meniere), patologie delle ossa (osteonecrosi asettica della testa del femore), ulcere cutanee, lembi a rischio, traumi da schiacciamento, osteomieliti, piede diabetico, infezione dei tessuti molli, fasciti necrotizzanti e molti altri.

Speriamo in un futuro di riconoscimento anche di questo settore.

Klarida Hoxha

Redazione Nurse Times

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