I Nuovi modelli formativi proposti dal Comitato Scientifico d’Emergenza di Christian Manzi

Il collega Christian Manzi, Fondatore del Comitato Scientifico d’Emergenza CSE-Formazione ed infermiere del 118, ci racconta la sua passione per la Formazione sanitaria che da ben 15 anni colora la sua intensa attività professionale…Tra un soccorso e l’altro!

Cos’è CSE-Formazione? Di cosa si occupa?

Ho fondato il Comitato Scientifico d’Emergenza CSE nel 2007 e da allora, con molto entusiasmo, ci occupiamo di formazione. Lo facciamo attraverso corsi di base e avanzati, per mezzo di testi e pubblicazioni, organizzando eventi per sensibilizzare le persone alla rianimazione cardiopolmonare e cercando di farci venire tante idee per divulgare il più possibile e al meglio le manovre salva-vita. Abbiamo ad esempio approntato dei metodi alternativi per trasmettere le nozioni a coloro che non appartengono al settore sanitario: in questa chiave sono stati proposti modelli di flash-mob e di apprendimento alternativo quali coreografie, brani musicali regolarmente incisi presso la SIAE e strumentazioni ideate, nonché brevettate, dal CSE e finalizzate all’apprendimento da parte di bambini in età scolare. Siamo accreditati dalla ADELPI, dalla SIMEUP, IRC; siamo centro internazionale di formazione riconosciuto dall’American Heart Association e possiamo accreditare centri satelliti e formare istruttori. Siamo un centro accreditato dalla Regione Lazio e ciò ci permette di rilasciare certificati abilitativi BLS-D e PBLS-D con manuale esclusivo CSE. Ci stiamo divertendo parecchio, insomma.

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Che significato ha per te il termine “Sensibilizzazione”?

Sensibilizzare per me vuol dire portare le persone a conoscere una realtà. Non solo come la vediamo razionalmente, come la tocchiamo, ma soprattutto come la sentiamo dentro. Come ci fa emozionare. In poche parole per me la sensibilizzazione è la trasmissione della motivazione che spinge ogni essere umano a fare qualcosa di buono al meglio.

Quando e come è iniziata la tua carriera di formatore-divulgatore-educatore sanitario?

La mia carriera di formatore è iniziata nel lontano 2001 presso un associazione dove svolgevo l’attività di volontario. In pratica mi occupavo di corsi di primo soccorso all’interno dei circoli cittadini, dentro i bar, chioschi e centri ricreativi.

Ricordi una tua esperienza in ambito formativo particolarmente interessante?

Una delle esperienze formative che ricordo con maggior entusiasmo è quella del 24 aprile 2015, giornata nel quale superammo il record del numero di esecutori di BLSD formati mai in Italia in un unico giorno, del totale di 384 partecipanti. La giornata venne chiamata BLSD ITALIAN GUINNES RECORD.

 

Ogni volta che accade una tragedia, come quella del povero calciatore Piermario Morosini, si ritorna prepotentemente a parlare di defibrillatori. Pensi che la loro immediata reperibilità sul territorio… Basti a salvare delle vite?

Il defibrillatore è veramente un apparecchio salva vita, su questo oramai non c’è alcun dubbio. Di fronte ad una fibrillazione ventricolare, l’unica terapia valida è infatti la defibrillazione precoce. E questa può essere erogata solo da un defibrillatore, che deve essere reperito quanto prima! Chi preme il pulsante per erogare la scarica, però, è sempre l’essere umano. Quindi, oltre alla presenza della macchina, è indispensabile che ci sia una persona formata, che sia in grado di eseguire correttamente ed in sicurezza le linee guida. Ma soprattutto… Che possegga buon senso da vendere, altruismo e tanta buona volontà.

Christian Manzi è un infermiere. Cosa ti senti di consigliare ai moltissimi colleghi precari o disoccupati stremati dalla crisi e dalla situazione insostenibile della nostra sanità attuale?

Io sono un infermiere che dal 1999 opera all’interno di ambulanze del 118. Quindi mi occupo di servizio pubblico, ma ad oggi sono ancora un operatore precario in forza a società private che cambiano di anno in anno. Non ho mai avuto un contratto fisso e uguale negli anni. In poche parole ogni anno è come se fosse il primo! Ma continuo a svolgere la mia professione con grande volontà e allegria, cercando di dimostrare sempre la massima professionalità, tenendomi (a mie spese) sempre aggiornato e cercando ogni giorno di inventare e costruire delle novità che possano migliorare la salute dei miei pazienti e di me stesso! Il mio consiglio: cercate sempre di spendere il vostro tempo facendo tutto quello che pensate possa far star bene l’essere umano; e questo fatelo sia per chi si affida a voi, ovvero i pazienti, sia per voi stessi. Solo in questo modo potete sentirvi dei vincenti!

 

Parlando infine della tua esperienza nel servizio 118… Ricordi qualche soccorso particolarmente appagante dal punto di vista professionale? Tempo fa mi raccontasti che un bimbo porta non per caso il tuo nome…

Lo ricordo benissimo e con molta gioia. Era il 10 febbraio 2012, alle ore 3:30 di mattina, una chiamata per un codice verde: una donna di 30 anni con gravidanza a termine che doveva essere trasportata in ospedale. Giunti sul posto la trovammo in piedi e ci riferì dei lievi dolori addominali. Tutto faceva pensare ad una situazione normale. Mai ad un parto in ambulanza… L’accompagnammo nel mezzo e la facemmo sedere sulla barella. Una volta presi i parametri vitali ed eseguite le varie valutazioni come da protocollo, partimmo. Durante il tragitto abbiamo dovuto cambiare strada più volte per colpa della neve del ghiaccio, era l’anno in cui ha nevicato a Roma e muoversi in città era molto problematico. Eravamo bloccati in una stradina quando la donna ha iniziato a lamentarsi di più. Come da corso, la preparai al parto in modo preventivo. Ma durante la preparazione la donna iniziò ad urlare, a spingere e mi accorsi che purtroppo non c’era più tempo: stava partorendo lì. Con me ad assisterla. Per mia fortuna è durato solo qualche minuto ed è stato bellissimo: si è iniziata a vedere la testa e da lì, in un attimo, quasi come un pesce che salta fuori dall’acqua, mi sono trovato il bimbo tra le mie mani. Gli ho immediatamente liberato le vie aeree ed ha iniziato a piangere, vi confesso io con lui! Ho clampato il cordone senza tagliarlo, ho pulito rapidamente il bimbo, l’ho coperto con il kit e abbiamo così ripreso il viaggio verso l’ospedale. Fu una traversata lunga e fredda. Arrivati alla struttura il bimbo era in ipotermia, ma il personale del P.S lo ha subito riscaldato e preparato per iniziare alla grande la sua splendida vita. La mattina seguente sono stato chiamato telefonicamente dai genitori, che con mio grande stupore, mi hanno chiesto il permesso di chiamare il loro bimbo come me. Sì, col mio nome. È stato qualcosa di veramente bello ed emozionante. Che ricorderò per tutta la vita.

Alessio Biondino

Redazione Nurse Times

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