Una notte a dir poco scialba, quella tra il 14 e il 15 agosto, al pronto soccorso del Policlinico Umberto I di Roma. Il Messaggero descrive infatti una situazione dove ci sono pochissimi pazienti, tanto silenzio e professionisti sanitari che vagano piuttosto annoiati alla ricerca di qualcosa da fare per passare il tempo; addirittura c’è un medico che esce dalle sale visita e si mette a chiacchierare coi pochi pazienti che sono lì in attesa. Cosa che non avrebbe il tempo di fare mai e poi mai, in una giornata “normale” di lavoro.
“Però se ripassa il 16 troverà un bel po’ di gente”, risponde il giovane medico ‘chiacchierone’ ad un utente che gli domanda il motivo di quello scarso afflusso.
Sembra proprio, infatti, che ormai tutto ciò sia divenuta una regola consolidata: ogni anno, a Ferragosto, i pazienti scarseggiano. E non solo a Ferragosto: anche di domenica, durante le feste e anche in concomitanza delle partite di calcio della nazionale, c’è veramente poco lavoro per medici e infermieri del pronto soccorso. E ciò avviene non solo a Roma
.Stanno tutti bene, quindi? La psiche ha davvero il potere di inibire i mali nelle giornate di festa? Colpa della città che si svuota? Un semplice caso? Oppure… questa pittoresca situazione sottolinea ben altri problemi, di origine prettamente culturale, da cui il nostro paese sembra proprio non volersi liberare?
Forse l’ultima ipotesi, purtroppo, è quella più verosimile. Chi si presenta nei dipartimenti di emergenza e accettazione, infatti, nella maggior parte dei casi non lo fa per una vera e propria urgenza; bensì per ottenere in tempi brevi e gratuitamente una visita, un esame, una terapia, evitando così di passare sia per la sala d’aspetto del medico di famiglia sia per la lista d’attesa di un ambulatorio. Una delle tante ‘furbate’, che sono all’ordine del giorno in un paese di ‘furbi’ come il nostro.
Circostanza, questa, che viene ampiamente confermata dal ‘deserto in corsia’ creatosi a ferragosto o durante gli europei di calcio e che invece, nei giorni per così dire ‘normali’, vede i dipartimenti di emergenza ingolfati fino al collasso. Chi ne paga le conseguenze? I pazienti stessi, ovviamente. Soprattutto quelli che hanno davvero bisogno di essere valutati e curati in fretta.
Fonte: Il Messaggero
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