Lavoro

Da Pesaro a Berlino per lavorare: “All’estero c’è una cosa chiamata meritocrazia”

Riportiamo l’intervista rilasciata dall’infermiera 28enne Carlotta Ballarini al Resto del Carlino.

Treni che partono, famiglie che si abbracciano, una speranza racchiusa in un sorriso e in una lacrima trattenuta. Questo accade ai tanti giovani che decidono di abbandonare il nostro Paese per cercare un futuro fuori dall’Italia. Come è successo a Carlotta Ballarini (in primo piano nella foto), 28 anni di Pesaro, che 4 anni fa con la sua laurea in Infermieristica è volata a Berlino, dove ha faticosamente ma coraggiosamente costruito un pezzo della sua nuova vita.

E che ora difende tutti i ragazzi che, come lei, hanno lasciato la famiglia per farsi un avvenire. “A chi  si permette di dire che noi giovani che andiamo a vivere all’estero siamo dei vigliacchi dedico questa foto”, ha scritto nella lettera-sfogo invitata a Berlino Magazine, un giornale online, allegando un’immagine in compagnia dell’amica Fanny (con Carlotta nella foto), anche lei infermiera, sullo sfondo del reparto di Cardiologia di un grande ospedale berlinese, dove la ragazza pesarese è stata assunta a tempo indeterminato.

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Perché questa lettera, Carlotta, con chi ce l’hai?

«Con tutti quelli che in Italia dicono che siamo bamboccioni, “figli di papà”, senza sapere che emigriamo per fare i lavapiatti o le donne delle pulizie. Se si arriva a prendere una decisione così estrema, non è per scelta, ma per necessità. E la gavetta all’estero la si fa e non c’è nulla di male. Anzi, vale la pena attendere perché all’estero, più che in Italia, c’è una cosa che si chiama meritocrazia».

Per te questo articolo ha anche il sapore di una rivincita…

«Sì, era da tempo che l’avevo in mente. Volevo far sapere a chi denigra chi lascia il proprio Paese cosa vuol dire essere lontani centinaia di chilometri dai propri affetti, cosa significa apprendere anche i lutti via Skype. E poi volevo incoraggiare i miei coetanei a muoversi, a cercare un’alternativa a un’Italia che non ti ascolta».

Per questo hai deciso di partire?

«Sì. Dopo la laurea in Infermieristica alla Politecnica delle Marche, per due anni ho cercato lavoro a mie spese, spostandomi con il treno tra Rimini, Bologna, Belluno e Roma. Ho lasciato almeno un centinaio di curriculum: nessun colloquio. Vivevo ancora a casa dei miei, cercando di sbarcare il lunario, dividendomi tra vari lavoretti: l’infermiera a chiamata, la cassiera in un supermercato, la commessa in un negozio di mangimi per animali e, d’estate, la stagione in spiaggia. Poi, un giorno, ho detto basta e sono partita. In lacrime».

I primi tempi a Berlino?

«Duri, ho vissuto per un mese in una stanza di un ostello in cui c’erano le pulci, poi ho lavorato come donna delle pulizie in un’altra struttura con contratto part-time, ma a tempo indeterminato. Di giorno il lavoro, di pomeriggio il corso di lingua. Dopo poco più di un anno, ero arrivata al livello B1 di tedesco, ovvero intermedio, abbastanza per provare a mandare qualche curriculum agli ospedali della città. Dopo neanche 24 ore dall’invio, mi hanno chiamato per fare l’assistente infermiera in una clinica. Ho accettato, continuando a studiare tedesco e, dopo un altro anno, ho raggiungo il livello di tedesco B2, che mi ha permesso di chiedere il riconoscimento della laurea e di avere un contratto da infermiera».

Pensi un giorno di tornare a casa?

«Mi piacerebbe, tutti noi che siamo all’estero sogniamo il grande ritorno. Ma vedendo qual è la situazione, la vedo dura. Qui si parla di meritocrazia, di stipendio equiparato al costo della vita, di aiuti sociali, di tassazione e costo della vita più basso. Non sono proprio felicissima, ma posso dire di essere indipendente dai miei genitori e ne vado fiera».

Fonte: il Resto del Carlino

Redazione Nurse Times

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