Coronavirus, stop allo sci fino al 5 marzo: le Regioni non ci stanno

La decisione assunta in extremis dal ministro della Salute, Roberto Speranza, ha provocato non poche critiche. In primis da parte dei governatori.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato in extremis un provvedimento che vieta lo svolgimento delle attività sciistiche amatoriali fino al 5 marzo, data di scadenza del Dpcm del 14 gennaio. Il provvedimento, spiega il ministero della Salute, “tiene conto dei più recenti dati epidemiologici comunicati venerdì 12 febbraio dall’Istituto Superiore di Sanità, attestanti che la variante VOC B.1.1.7, detta variante Uk e caratterizzata da maggiore trasmissibilità, rappresenta una percentuale media del 17,8% sul numero totale dei contagi. La preoccupazione per la diffusione di questa e di altre varianti del virus SARS-CoV-2 ha portato all’adozione di misure analoghe in Francia e in Germania”.

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Nel verbale del 12 febbraio il Comitato tecnico scientifico, con specifico riferimento alla riapertura degli impianti sciistici nelle Regioni inserite nelle cosiddette zone gialle, afferma che “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive vigenti, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”. Nel comunicato con cui si annuncia lo stop alle attività sciistiche il Governo si impegna a compensare al più presto gli operatori del settore con adeguati ristori. Ma ciò non basta a frenare le polemiche attorno al provvedimento, contestato da più parti.

Lo stop di Speranza ha infatti provocato l’immediata reazione della Lega con i neo ministri Giancarlo Giorgetti (Sviluppo Economico) e Massimo Garavaglia (Turismo) dopo che anche il leader lumbard Matteo Salvini aveva tuonato sul continuo cambio di direzione per le attività sciistiche: «La montagna, finora dimenticata, merita rispetto e attenzione – è il commento di Giorgetti e Garavaglia –. Che risposte si danno e in che tempi al documento predisposto dalle regioni? Non è solo questione di cifre: non è detto nemmeno che bastino i 4,5 miliardi richiesti quando la stagione non era ancora compromessa, probabilmente ne serviranno di più, a maggior ragione se ci sono altri stop. Gli indennizzi per la montagna devono avere la priorità assoluta, quando si reca un danno, il danno va indennizzato; già subito nel prossimo decreto».

La Lega ha poi rincarato la dose con i capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, che hanno lanciato un pesante attacco: «Non si può continuare con il “metodo Conte”: annuncio la domenica e chiusura il lunedì. Serve un cambio di passo e rispetto per la gente di montagna e per chi lavora, oltre a rimborsi veri e immediati: al di là di Speranza, appena riconfermato ministro, è necessario un cambio di squadra a livello tecnico».

Dall’opposizione è giunta la netta critica della presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «Solo pochi giorni fa il Governo Conte-Speranza e il Cts avevano autorizzato la riapertura delle piste sci dal 15 febbraio nelle regioni in zona gialla. A 24 ore dalla ripartenza, lo stesso Cts dice che non ci sono più le condizioni e il governo Draghi-Speranza decide un altro rinvio. È la mazzata finale per tantissimi operatori, che non hanno lavorato per mesi subendo perdite enormi e che per organizzare la riapertura hanno sostenuto spese, assunto personale, venduto skipass, accettato prenotazioni alberghiere. Quando verranno ristorate queste imprese? Quanti soldi verranno stanziati per pagare i danni di questa scelta? Chi dirà ai lavoratori appena assunti che da domani dovranno rimanere a casa?».

A esprimere la posizione dei governatori, spiazzati dalla decisione in extremis del ministro, è stato Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni: «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza per domani. Solo una settimana fa il Cts aveva validato la riapertura di queste attività in zona gialla attraverso linee guida molto stringenti, formulate dalle Regioni in accordo coi gestori e secondo le indicazioni dei tecnici».

Anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha criticato la scelta di Speranza: «Una decisione dell’ultimo secondo che dà un ulteriore colpo gravissimo a un settore che stava faticosamente riavviando la propria macchina organizzativa. Ancora una volta si dimostra che il sistema delle decisioni di “settimana in settimana” è devastante sia per gli operatori, sia per i cittadini».

Durissima la presa di posizione del governatore piemontese Alberto Cirio: «Sono allibito da questa decisione. Soltanto dieci giorni fa il Comitato tecnico scientifico nazionale aveva stabilito che in zona gialla da lunedì 15 si sarebbe potuto sciare. Su queste direttive il Piemonte si è mosso, nel rigoroso rispetto delle regole. Regole che non possono cambiare tutte le settimane».

Lo stop di Speranza ha provocato anche le critiche del presidente della Liguria, Giovanni Toti: «La gente non può scoprire domenica sera che cosa potrà fare lunedì mattina, non è possibile che tutte le volte che l’Italia prende una decisione la revoca a 24 ore di distanza. Il Governo Draghi deve dare un cambio di passo sul tema del covid, nessuno lunedì mattina si sarebbe precipitato a sciare, credo in tutta franchezza, visto che le Regioni sono chiuse, ci sarebbero potuti andare solo i residenti con un terzo di capienza nella cabinovie. Credo che sarebbe stato un segnale dire che piano piano si riapre il Paese».

Anche il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, si è unito al coro: «Chiediamo al nuovo Governo di cambiare sistema perché evidentemente questo è un risultato fallimentare vista la decisione dell’ultimo momento che riguarda gli impianti da sci. Già la settimana scorsa si conosceva la situazione pandemica e bisognava avvisare quindi con il dovuto anticipo operatori e lavoratori del settore della montagna e non far pagare un’ulteriore perdita per quanto riguarda l’organizzazione delle riaperture. Un danno che si somma alla perdita che c’è già stata e che ci sarà. E’ necessaria una ristrutturazione dell’organizzazione del Comitato tecnico scientifico, perché non ci possiamo trovare ancora in questa situazione: in mezzo a questa indecisione a rimetterci sono le imprese e i lavoratori»

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Poco prima era arrivato anche il commento della Conferenza della Regioni, per bocca del coordinatore della Commissione speciale Turismo ed Industria alberghiera, Daniele D’Amario: «Per l’economia delle Regioni è una mazzata all’ultimo secondo, perché dopo due rinvii arriva un altro stop. Le Regioni in zona gialla si erano organizzate per attuare un protocollo di sicurezza e ingaggiare personale adeguato, ma si rispegne una macchina che si era messa in moto nel rispetto delle regole».

Tranchant anche la reazione dell’assessore al Welfare e vicepresidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, che ha parlato di un danno grave per gli operatori: «Il Cts aveva i dati dei flussi già da martedì. quindi poteva dare un’indicazione che avrebbe permesso al ministro Speranza di prendere una iniziativa più tempestiva. Quello che chiediamo al Governo è avere tempi più certi e non avere aperture e chiusure così a ridosso l’una dall’altra rispetto ai tempi in cui si devono preparare».

Questo, ivece, il commento del presidente di Confturismo-Confcommercio, Luca Patanè: «Con quest’ultimo colpo si completa un anno intero di blocco per il turismo, sostanzialmente senza soluzione di continuità. Bloccare l’apertura degli impianti sciistici la sera prima dell’annunciata apertura è un messaggio negativo per il Paese. Ora si volti pagina rimettendo subito il turismo al centro del Piano nazionale di ripresa e resilienza ma ancora più urgente è completare in tempi rapidissimi il passaggio delle consegne dal Mibact al nuovo ministero del Turismo per non fermare le assegnazioni di aiuti alle imprese del settore fissate per legge che già sono in ritardo di mesi».

Molto critico anche il commento di Marco Bussone, presidente nazionale Uncem (Unione Nazionale Comuni, Comunità e Enti Montani): «Il blocco dello sci di stasera per domani è gravissimo. La stagione è finita, per molti operatori che in questi istanti mi hanno confermato che non apriranno più. Il no all’apertura degli impianti, arrivato in questi minuti, non trova d’accordo i Comuni montani, insieme a tutti gli operatori economici. Abbiamo buttato al vento milioni di euro in quest’ultima settimana. Uno spreco. Ora contiamo i danni. Che in settimana dovranno essere rimborsati con adeguati ristori. Per il personale serve immediatamente un’indennità, la cassa integrazione. Il Governo Draghi si attivi immediatamente».

La scelta del ministro Speranza è arrivata nel pieno dello scontro sul tema della possibile riapertura degli impianti sciistici. Ad agitare le acque, infatti, ancor prima dello stop del ministero, era intervenuto il consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, che interpellato dall’agenzia Ansa, aveva parlato di «incompatibilità» delle attività sciistiche con la situazione del Covid: «In questo momento le attività che comportino assembramenti non sono compatibili con il contrasto alla pandemia da Covid-19 in Italia ed gli impianti da sci rientrano in tali attività. Non andrebbero riaperti».

La posizione di Speranza ha seguito di fatto le indicazioni del Comitato tecnico scientifico, che aveva risposto negativamente alla richiesta dello stesso ministro di «rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura dello sci». “Alla luce delle mutate condizioni epidemiologiche, dovute alla diffusa circolazione delle varianti virali del virus, allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”, aveva scritto il Cts. La nuova analisi del Comitato tecnico scientifico, che lo scorso 4 febbraio aveva dato il via libera allo sci in zona gialla seppur con una serie di limitazioni (vendita degli skipass contingentati e impianti al 50%), scaturisce dallo studio condotto dagli esperti dell’Istituto superiore di sanità, del ministero della Salute e della Fondazione Bruno Kessler proprio sulla diffusione delle varianti del virus in Italia.

Dall’analisi condotta in 16 Regioni e Province autonome è emersa la presenza delle varianti nell’88% delle regioni esaminate, con percentuali comprese tra lo 0 il 59%. Alla luce di ciò lo studio raccomandava di “intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione, rafforzando e innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto”.

Rispondendo a Speranza, gli esperti avevano dunque sottolineato che la situazione epidemiologica “rimane un presupposto fondamentale” per poter procedere alle riaperture e che in ogni caso ogni azione “va valutata con cautela rispetto al possibile impatto” sui territori. Anche perché le misure previste per le zone gialle “dimostrano una capacità di mitigare una potenziale crescita dell’incidenza, ma non determinano sensibili riduzioni”, che invece si osservano nelle zone arancioni e rosse. C’è poi da tener conto di altri due fattori: la ripresa della scuola in presenza, il cui “impatto andrebbe monitorato prima di valutare ulteriori rilasci”, e appunto la presenza delle varianti del virus che, dice lo studio, stanno provocando una nuova crescita dell’epidemia, con un impatto sostenuto sui sistemi sanitari.

“È, pertanto, evidente – avevano quindi concluso gli esperti – che la riapertura degli impianti non può prescindere da una attenta valutazione dall’impatto di quanto sopra rappresentato”. Per questo, è la conclusione del Cts, spetta al decisore politico la valutazione, ma “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”.

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