Coronavirus, Iss valuta terapia con interferoni usati nella cura della sclerosi multipla

Secondo due ricercatrici dell’Istituto Superiore di Sanità, l’IFN-β potrebbe rappresentare un’alternativa in attesa di un vaccino.

L’IFN-β, una delle prime terapie approvate per la sclerosi multipla (SM), potrebbe avere un ruolo importante nella gestione e nel trattamento del Covid-19. E’ questa l’ipotesi che Eliana Coccia e Martina Severa, ricercatrici del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, hanno voluto condividere in una lettera pubblicata questo mese sulla rivista Frontiers in Immunology.

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Lo hanno fatto in collaborazione con Marco Salvetti (ospedale Sant’Andrea di Roma) e Cinthia Farina (Irccs ospedale San Raffaele di Milano), con cui da tempo studiano le potenzialità terapeutiche di queste citochine, più in particolare dell’IFN-β, sulla base di alcune evidenze scientifiche, sia loro sia di altri gruppi di ricerca.

Nella lettera gli autori commentano l’esperienza ormai quasi trentennale del trattamento con IFN-β della SM, provando, nell’era Covid-19, a far tesoro delle informazioni collezionate in questi anni. I loro studi, in particolare quelli sugli effetti immunoregolatori dell’IFN-β, sono stati sostenuti nel tempo dalla Fondazione italiana sclerosi multipla.

“Identificare rapidamente strategie terapeutiche efficaci per rallentare o fermare la pandemia da Covid-19 rappresenta una delle poche alternative perseguibili nell’attesa della disponibilità di un vaccino – spiega Eliana Coccia, –. Tra le diverse opzioni terapeutiche che sono state valutate e sono in uso, gli interferoni (IFN)-α and β meritano una nota di rilievo per le loro capacità sia antivirali che immunoregolatorie, capacità che hanno determinato la loro inclusione in diversi trial in combinazione con remdesivir

, lopinavir e ritonavir, clorochina e idrossiclorochina.

Cosa si è appreso durante gli studi sull’utilizzo dell’IFN-β? “Siamo partiti dall’evidenza che alterazioni nella produzione degli IFN di tipo I o di varianti geniche a essi associate siano collegati con lo sviluppo di diverse malattie autoimmuni, inclusa la SM, per definire più recentemente che le cellule B mostrano specifiche alterazioni nel sistema IFN – prosegue l’esperta –. Il ripristino di questi difetti nelle risposte antivirali potrebbe essere un possibile meccanismo di azione della terapia con IFN-β negli individui con SM, unitamente ai ben conosciuti effetti anti-infiammatori. Dunque, le proprietà combinate di IFN-β come molecola antivirale e immunoregolatoria, soprattutto verso i linfociti B, potrebbero essere sfruttate per promuovere una risposta protettiva contro il SARSCoV2 sia nella fase emergenziale che in un momento successivo, quando auspicabilmente un vaccino sarà disponibile”.

Aggiunge Martina Severa: “I trial clinici ci diranno, speriamo presto, se l’IFN-β può avere un ruolo nel trattamento del Covid-19”. Ed Eliana Coccia conclude: “Quanto ipotizzato assume maggior rilievo alla luce del fatto che nel 20% dei pazienti Covid-19 con sindrome respiratoria acuta grave si osserva un difetto nella risposta antivirale regolata dagli IFN, associata a una forte risposta infiammatoria. Queste evidenze sostengono l’importanza di mettere a punto nuove strategie immunomodulanti, basate sull’utilizzo di IFN-β per controllare la replicazione virale”.

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