Medici

Coronavirus e medici di base: “L’assistenza domiciliare non tocca a noi”

Dibattito aperto sulla gestione dei casi di infezione a casa del paziente da parte dei MMG. La Gazzetta del Mezzogiorno ha raccolto il parere di uno di loro.

I medici di medicina generale sono ritenuti, a giusta ragione, centrali nella lotta territoriale contro il coronavirus. Dopo l’accordo, malvisto da molti (anche dentro la Fimmg, che ha siglato l’intesa, oltre che dalle altre sigle Smi e Snami), per la somministrazione dei tamponi rapidi antigenici nasofaringei (inizieranno a dicembre in ambulatorio oppure in sedi stabilite dalla Asl, che potranno essere anche punti di prelievo messi a disposizione dai Comuni), si discute sulle indicazioni terapeutiche per la gestione dei casi di infezione a domicilio, contenute nella bozza preparata dal presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli.

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Il documento riguarda la gestione dei casi lievi di Covid-19 e le raccomandazioni si applicano sia ai casi confermati sia a quelli probabili. In precedenza si era espressa anche la Commissione nazionale, che si occupa della gestione del paziente Covid-19, istituita dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

Le novità seguono il reiterato richiamo, arrivato di continuo e da più fronti, di un maggiore coinvolgimento dei medici di famiglia nel contrasto all’epidemia. Una partecipazione messa peraltro in discussione da una recente pronuncia da parte del Tar Lazio, secondo cui “l’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid risulta in contrasto con la normativa emergenziale”.

Insomma, a occuparsi dell’assistenza a domicilio dei pazienti Covid che non necessitano di ricovero ospedaliero saranno di fatto soltanto le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), per potenziare le quali la Asl Bari ha approvato la graduatoria dei medici da reclutare (sono 412 i professionisti ammessi), da cui attingere anche per creare nuove Usca (nel Barese, le attuali nove potrebbero aumentare fino a 25).

«La domanda che viene spontanea a un non addetto ai lavori – afferma Ivo Vulpi, medico di medicina generale a Bari – è la seguente: per quale motivo un medico non può andare a domicilio a valutare gli asintomatici oppure i paucisintomatici, alleggerendo così il lavoro ospedaliero? La risposta è semplice: quei pazienti non necessitano di essere valutati con un fonendoscopio per capire se hanno la polmonite o meno. Basta un saturimetro da pochi euro e, se si inizia a desaturare si va in ospedale, e un continuo controllo telefonico».

Prosegue Vulpi: «Una visita domiciliare in un ambiente contaminato richiede vestizione e svestizione adeguati, che costerebbero, in termini di tempo e materiale, molto di più di quanto non costi una squadra attrezzata che fa solo quello. Infatti l’attivazione delle Usca segue questa logica, solo che queste equipe devono affrontare, in questo momento, una situazione molto gravosa in attesa del potenziamento. Basti pensare che si muovono non con un’auto propria, come faremmo noi, ma con un mezzo dell’Asl, che viene sanificato a intervalli regolari. Noi non potremmo permettercelo»

.

Peraltro il tempo a disposizione dei medici di famiglia (circa mille in provincia di Bari, cioè in media uno ogni 1.300 pazienti, con punte fino a 1.500) non è infinito, tenendo conto dei compiti previsti dalla convenzione col sistema sanitario. In questo periodo di distanziamento, poi, sono sopraggiunte altre incombenze.

«Per esempio – spiega Vulpi – c’è l’attività legata al contact tracing, comunque ormai obsoleta in quanto il sistema è andato ampiamente in tilt. L’arretrato di segnalazioni da processare è ormai diventato pauroso. A questo farraginoso sistema si aggiungono poi i normali compiti nei confronti dei pazienti non Covid, che iniziano a soffrire di questa situazione. Da quando è iniziata l’emergenza il primo problema degli studi di medicina generale è stato quello di non far afferire la massa di gente per evitare contagi. Questo sistema, che non viene facilmente digerito dalla popolazione anziana, ha la grave conseguenza di non poter visitare pazienti. D’altro canto, anche la prescrizione telematica, che ha l’indubbio vantaggio di velocizzare il sistema, ha l’oscuro risvolto di una richiesta continua e martellante, senza distinzioni di ora e data attraverso WhatsApp, mail, sms, a parte il telefono».

E ancora: «Siamo letteralmente bombardati da richieste che, se prima erano limitate alla stanza di ambulatorio negli orari stabiliti, ora sono randomizzate. Inoltre i pazienti hanno scoperto anche gli audiomessaggi, che consentono loro di parlare ininterrottamente anche per dieci minuti, senza essere interrotti. E se scrivi “ti prego di evitare i messaggi audio”, ti rispondono “dotto’, che na cosa ti ho chiesto!”. Altro sistema utilizzato è quello di inviarti le fotografie delle scatole dei propri farmaci cronici, mentre coloro che hanno bisogno di una diagnosi hanno ormai preso l’abitudine di mandare i selfie delle proprie parti anatomiche affette da un presunto problema, chiedendo chiarimenti via WhatsApp».

Redazione Nurse Times

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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