L’infusione continua sottocutanea di Levodopa è la nuova terapia che si rivolge ai pazienti malati di Parkinson in fase avanzata e che presentano gravi fluttuazioni motorie, difficilmente gestibili con le terapie orali convenzionali. Un metodo che assicura un controllo più stabile dei sintomi, con un impatto significativo sul miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
L’ospedale Santa Croce di Fano (Pesaro e Urbino) ha effettuato con successo l’impianto di un dispositivo per l’infusione in due pazienti affetti dalla patologia, dimostrando come la Levodopa risulti essere il farmaco più efficace per contrastare i sintomi del Parkinson, ma ribadendo che la sua somministrazione orale può spesso associarsi a fluttuazioni dei livelli plasmatici, con conseguente variabilità nel controllo dei sintomi motori e la possibile comparsa di movimenti involontari.
Per questo, dunque, è innovativa la somministrazione attraverso infusione sottocutanea gestita dal neurologo Giovanni Flamma, che afferma: “Questa modalità di somministrazione garantisce un’azione rapida e un assorbimento non influenzato dall’assunzione di cibo. Il farmaco utilizzato, denominato Duodopa, contiene sostanze come la foslevodopa e foscarbidopa. La foslevodopa si trasforma nell’organismo in dopamina, la sostanza chimica fondamentale per la trasmissione dei segnali nervosi e carente nei pazienti con Parkinson. La foscarbidopa, invece, ne potenzia l’efficacia riducendo gli effetti collaterali. Duodopa viene infusa sottocute tramite una pompa portatile che rilascia il farmaco in modo costante nelle 24 ore”.
Aggiunge il direttore della Neurologia, Francesco Logullo: “Questa metodica rappresenta un’opzione terapeutica fondamentale per quei pazienti con Parkinson avanzato le cui fluttuazioni motorie non sono più adeguatamente controllate dalla terapia orale la possibilità di somministrare il farmaco in modo continuo garantisce una maggiore stabilità clinica, riducendo i periodi ‘off’ e migliorando significativamente la qualità della vita dei nostri pazienti e dei loro famigliari”.
Redazione Nurse Times
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