Contro la sindrome metabolica le armi migliori restano la perdita di peso e uno stile di vita sano. Al tema il XXXI Congresso nazionale delle malattie digestive, promosso dalla Federazione italiana delle società delle malattie dell’apparato digerente (Fismad), a Roma dal 13 al 15 aprile con la presenza numerosa della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige), dedica una sessione per illustrare le evidenze finora acquisite sugli approcci terapeutici al paziente.
La sindrome metabolica è l’insieme di condizioni mediche in grado di aumentare significativamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e altre gravi patologie, oltre a essere la principale causa di cirrosi epatica.
“Non esiste una terapia specifica contro la sindrome metabolica, a parte il consiglio di seguire la dieta mediterranea ed un corretto stile di vita, basato sul controllo del peso corporeo e sulla regolare attività fisica”, afferma Gianluca Svegliati Baroni, professore associato in Gastroenterologia all’Università Politecnica delle Marche e responsabile della struttura dipartimentale Danno epatico e trapianti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche di Ancona.
Il professor Svegliati Baroni rimarca la necessità di collaborazione fra gli specialisti e la medicina generale: “I medici di base possono gestire le prime fasi della terapia del diabete, dell’ipertensione, della dislipidemia e aiutare il paziente a correggere lo stile di vita, incentivando l’attività fisica quotidiana che lo aiuti a perdere quella quota di peso necessaria a guarire”.
In particolare, per il danno epatico legato alla sindrome metabolica è dimostrato che la perdita fra il 7 e il 10% del peso corporeo porta alla risoluzione delle anomalie istologiche.
“La maggior parte delle malattie epatiche – evidenzia il professore – è legata a fattori metabolici e all’alcol, con un potenziale di prevenzione significativo attraverso il cambiamento delle abitudini. Inoltre, è stato calcolato che circa 2 milioni di persone muoiono ogni anno a livello globale a causa delle malattie di fegato e che il 90% di queste patologie potrebbe essere curato semplicemente modificando lo stile di vita”.
A questo proposito, il professor Svegliati Baroni ricorda come il prossimo 19 aprile, in occasione del World Liver Day, le società scientifiche internazionali punteranno sul messaggio che “il cibo è medicina”.
Chirurgia bariatrica
Una delle alternative terapeutiche della sindrome metabolica è la chirurgia bariatrica, applicata però solo a pazienti con obesità severa e in condizioni cliniche ottimali.
All’Università Federico II di Napoli, il gruppo di ricerca guidato da Filomena Morisco, direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato digerente dell’Università di Napoli Federico II, ha avviato due anni fa uno studio che vede l’impiego della chirurgia sui pazienti affetti da Metabolic dysfunction-associated steatotic liver disease (MASLD). L’abstract del lavoro è stato pubblicato a febbraio sulla rivista scientifica internazionale Digestive and Liver Disease.
“Lo scopo – afferma la professoressa – era stimare il grado di miglioramento della steatosi e della fibrosi del fegato, a seguito dell’intervento chirurgico. Sono stati arruolati 96 pazienti, sui quali sono state compiute valutazioni cliniche ed esami tramite l’elastografia. Il risultato emerso è stato benefico e molto rapido. Già a distanza di 6-12 mesi dall’intervento è stata osservata una riduzione della steatosi e della fibrosi statisticamente significativa”.
Nuovi medicinali
Altra strada intrapresa per intervenire sulla sindrome metabolica è quella che riguarda il trattamento farmacologico. “Al momento – commenta la professoressa – è in fase di studio una serie di farmaci, già in uso in ambito diabetologo, ovvero i agonisti del recettore GLP-1, che riducono il peso corporeo e migliorano la steatosi e la steatoepatite, spesso associate alla sindrome metabolica. I farmaci non sono ancora stati autorizzati in Europa e negli Stati Uniti per lo specifico danno epatico ma gli studi sono al termine della fase III. A breve avremo dunque la possibilità di adottare un approccio terapeutico a questa condizione, utilizzando i farmaci già disponibili in ambito diabetologico”.
Redazione Nurse Times
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