Dalla semaglutide – anche in pillola, toccasana per il cuore, in particolare nei pazienti diabetici con obesità – alla tirzepatide, nuova molecola che agisce su due ormoni intestinali con una perdita di peso di oltre il 20%: i nuovi farmaci hanno inaugurato una svolta epocale nel trattamento dell’obesità.
Grazie a questi, nella pratica clinica si ricorre sempre meno al processo basato su tentativi ed errori, molto frustrante per i pazienti: oltre il 50% riesce a ottenere una significativa perdita di peso al primo colpo, mentre con le precedenti terapie, il tasso di successo iniziale era appena del 30%. Ora la nuova sfida è un approccio più personalizzato al trattamento dell’obesità che non è più una condizione senza opzioni. A fare il punto sull’attualità e le prospettive del panorama terapeutico, sono i massimi esperti riuniti a Torino per il Congresso della Società italiana di endocrinologia (Sie).
“Nel nostro Paese, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, un adulto su due è in sovrappeso, circa 23 milioni di persone, mentre 6 milioni, quasi il 12% della popolazione, soffre di obesità – dichiara Gianluca Aimaretti, presidente Sie e direttore del dipartimento di Medicina translazionale (DiMET) dell’Università del Piemonte Orientale -. Una condizione complessa, per troppo tempo considerata difficile da gestire, spesso, in passato, con un tasso di oltre il 70% di fallimento nelle terapie iniziali”.
E ancora: “Oggi, grazie a farmaci di nuova generazione, stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione terapeutica che, oltre a offrire una speranza concreta a milioni di persone, promette anche di trasformare radicalmente la gestione della salute metabolica e cardiovascolare. Non si tratta più solo di perdere peso, ma di offrire soluzioni personalizzate che tengano conto del profilo metabolico e del rischio cardiaco di ciascun paziente”.
Sempre il presidente Sie: “Tuttavia, nonostante i recenti progressi abbiano portato a risultati mai visti, proprio in termini di peso, migliorando la comorbilità, e persino riducendo la mortalità cardiovascolare, c’è ancora una variabilità individuale in termini di risposta ai farmaci antiobesità. Anche con quelli più efficaci non esiste una soluzione ‘universale’ e tentativi ed errori per la selezione delle terapie comportano ancora un aumento dei costi e del rischio di effetti collaterali. Lo sviluppo di un approccio di medicina di precisione è pertanto necessario per ottimizzare i risultati in termini di perdita di peso e individuare i pazienti che rispondono meglio a un intervento specifico”.
Il messaggio che emerge in maniera inequivocabile dai più recenti studi è dunque che la terapia per l’obesità può e deve essere personalizzata. La semaglutide, già un punto di riferimento nel trattamento dell’obesità, ha dimostrato di essere molto più di un semplice farmaco per la perdita di peso. Lo studio SCORE, un’ampia analisi su dati real-world condotta su migliaia di pazienti con diabete di tipo 2, ha rivelato un dato sbalorditivo: l’uso di semaglutide è associato a una riduzione del 57% del rischio di infarto e ictus rispetto ai non trattati.
“Questo risultato rafforza ulteriormente quanto già emerso dallo studio SELECT, che per primo aveva evidenziato il beneficio cardiovascolare della semaglutide in persone con obesità senza diabete -sottolinea Aimaretti -. Ma le novità non finiscono qui. Lo studio SOUL ha esplorato l’efficacia della semaglutide, anche in pillola, in pazienti con diabete di tipo 2 e alto rischio cardiovascolare, dimostrando una riduzione del 14% degli eventi cardiovascolari. Ciò significa che il farmaco è efficace anche in una formulazione alternativa, eliminando la necessità di iniezioni e rendendo il trattamento più accessibile per molti”.
Sul fronte della perdita di peso, lo studio STEP-UP ha valutato una dose sperimentale più alta di semaglutide (7,2 mg/settimana), con risultati eccezionali: i pazienti trattati hanno perso in media oltre il 20% del peso corporeo, e 1 su 3 ha superato il 25% di calo ponderale.
Parallelamente, l’attenzione è cresciuta anche intorno alla tirzepatide, una molecola innovativa che agisce su due ormoni intestinali (GIP e GLP-1). Nel recente studio SURMOUNT-5, la tirzepatide ha dimostrato una perdita di peso superiore a quella ottenuta con la semaglutide 2.4 mg, a parità di tollerabilità. Sebbene i dati cardiovascolari ufficiali (SURPASS-CVOT) non siano ancora disponibili, le aspettative sono alte, con la previsione di un effetto protettivo simile.
“È l’inizio di una nuova fase della medicina dell’obesità, finalmente più vicina ai bisogni reali dei pazienti – conclude il presidente Sie -. Questa nuova era segna un passo fondamentale verso una migliore qualità della vita per milioni di individui, offrendo non solo una via efficace alla perdita di peso, ma anche una robusta protezione contro le malattie cardiovascolari”.
Redazione Nurse Times
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