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Scompenso cardiaco: casi spesso associati all’obesità

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Il 2023 è stato un anno di svolta per la cura dei pazienti con scompenso cardiaco, problema spesso associato ai chili di troppo. In particolare semaglutide, farmaco specifico anti-obesità, si è dimostrato efficace nell’ottenere un miglioramento dei sintomi e della funzionalità, oltre che una riduzione significativa del peso corporeo.

“Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita – spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) e direttore della scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli -. L’insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030″.

Sempre Filardi: “L’aumento dei casi di è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perchè la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età, e dopo gli 80 anni lo scompenso cardiaco colpisce il 20% della popolazione. Tuttavia l’insufficienza cardiaca ha anche l’obesità tra le sue cause principali, perchè i chili in eccesso comportano, fra le altre cose, un incremento dell’infiammazione generale, un maggiore stress su metabolismo e sistema cardiovascolare, un aumento del grasso viscerale, anche a livello cardiaco”.

Aggiunge Ciro Indolfi, past-president Sic e ordinario di Cardiologia a Catanzaro: “È proprio il grasso viscerale e addominale il più pericoloso, quello che dovrebbe essere realmente misurato. È necessario valutare la distribuzione del grasso, e non soltanto l’indice di massa corporea. Così ogni possibile vantaggio di sopravvivenza per gli obesi sparisce. L’obesità, infatti, fa male al cuore: la probabilità di avere un infarto, un ictus o un evento cardiovascolare fatale aumenta dal 67 all’85% rispetto a chi è normopeso, tanto che i chili in eccesso ‘rubano’ fino a sei anni di vita, secondo un recente studio pubblicato su Jama”.

Redazione Nurse Times

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