Cambiano la definizione e i parametri per la diagnosi di obesità, prevedendo test più precisi che superano il vecchio concetto di indice di massa corporea (Bmi) e arrivando a definire quando tale condizione – un’epidemia silenziosa che colpisce oltre un miliardo di persone nel mondo – diventa una malattia vera e propria.
Il campanello d’allarme è fissato dagli esperti in 18 criteri per gli adulti, la cui presenza segnala che la condizione è patologica. E’ il frutto del lavoro di una commissione di 56 esperti mondiali, con l’endorsement di oltre 75 associazioni mediche, i cui risultati sono appena stati pubblicati su The Lancet Diabetes & Endocrinology.
Oltre al Bmi, l’attuale approccio medico per la diagnosi, vengono dunque introdotte altre misure del grasso corporeo: ad esempio, circonferenza vita o misurazione diretta dell’adipe attraverso la Dexa (scansione della densitometria ossea). E si distingue tra due tipi di obesità, clinica e pre-clinica, con lo scopo di garantire un trattamento sempre più personalizzato ed evitare le sovradiagnosi.
Un documento che arriva proprio mentre si attende che in Italia il nuovo Piano per la cronicità stabilisca il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica, come chiesto da medici e associazioni di pazienti. L’obesità clinica indica una malattia cronica vera e propria, associata a una concomitante disfunzione d’organo, mentre l’obesità pre-clinica è associata a un grado variabile di rischio per la salute, ma senza patologie concomitanti.
La commissione ha quindi fissato 18 criteri diagnostici per l’obesità clinica negli adulti e 13 criteri specifici per bambini e adolescenti, comprendenti: dispnea (affanno), insufficienza cardiaca, dolore al ginocchio o alle anche, alcune alterazioni delle ossa e articolazioni nei bambini e negli adolescenti in grado di limitare i movimenti, altri segni e sintomi causati da disfunzioni a livello di altri organi (compresi reni, vie respiratorie, sistema nervoso, urinario, iproduttivo).
A chiarire l’importanza del nuovo approccio è il presidente della commissione Francesco Rubino, del King’s College di Londra: “Le evidenze scientifiche raccontano una realtà molto più sfumata. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d’organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine, mentre altri mostrano segni di malattia grave subito. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell’obesità e permette un trattamento personalizzato. Questo comprende un accesso tempestivo ai trattamenti per gli individui con obesità clinica e strategie di trattamento per la riduzione di rischio per le persone con obesità pre-clinica. Ciò potrà facilitare una riallocazione razionale delle risorse sanitarie”.
Precisa Robert Eckel, dell’Università del Colorado: “Basarsi solo sul Bmi può rappresentare un problema, perché alcune persone tendono a cumulare grasso in eccesso a livello del punto vita e all’interno o intorno i loro organi, come fegato, cuore o muscoli; questo si associa ad un maggior rischio per la salute rispetto a quando il grasso in eccesso è localizzato solo sottocute, a livello di braccia, gambe o in altre aree. Ma le persone con un eccesso di tessuto adiposo non sempre presentano un Bmi che li faccia riconoscere come individui con obesità, e questo significa che i loro problemi di salute possono sfuggire”.
Spiega Geltrude Mingrone, direttrice Uoc Patologie dell’obesità al Policlinico Universitario Gemelli Irccs: “Riconoscere l’obesità come una malattia, in particolare l’obesità clinica, ossia quella accompagnata da segni e sintomi specifici, consentirà di ridurre lo stigma associato a questa condizione. E’ un passo fondamentale per definire i Livelli essenziali di assistenza e garantire trattamenti adeguati”.
Lo stigma, tuttavia, resta uno dei problemi. “È urgente anche una migliore formazione degli operatori sanitari e dei decisori politici per affrontare tale questione”, conclude Joe Nadglowski, rappresentante dei pazienti di Obesity Action Coalition Usa e componente della commissione.
Redazione Nurse Times
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