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Vita da frontalieri: ne vale ancora la pena? I salari alti non bastano più ad attrarre in Svizzera gli infermieri italiani che vivono al confine

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Incentivi a medici e infermieri di confine, è polemica sulla "tassa" per i frontalieri
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“Lo stipendio più alto non è sempre sufficiente per attirare manodopera qualificata. Oltre a salari competitivi, sono importanti anche benefit come la formazione continua, l’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili per le giovani famiglie, le opportunità di sviluppo della carriera e un ambiente di lavoro stimolante”. Parola di Annalisa Job, VP Marketing and Communication di Adecco, leader mondiale in mediazione lavorativa, che in un’intervista a TvSvizzera.it analizza il fenomeno dei frontalieri che lavorano nel Canton Ticino, spiegando come ultimamente i salari alti non bastino più ad attrarre in Svizzera la manodopera italiana.

La situazione è cambiata soprattutto dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale tra Svizzera e Italia, che penalizza i nuovi frontalieri, tassati nel nostro Paese. Accosrdo dal quale deriva una tassazione diventa molto pressante in Italia quando il reddito imponibile supera i 50-60.000 franchi. Di qui la nuova tendenza a “stabilirsi in Ticino a lungo termine, e non più condurre una vita da frontalieri”.

Già, perché a questo punto andare a vivere in Svizzera, a conti fatti, potrebbe essere una soluzione vantaggiosa, nonostante lì il costo della vita sia oggettivamente superiore: forse un po’ meno soldi in tasca, ma migliore qualità di vita, potendo eliminare gli spostamenti giornalieri nel traffico congestionato.

Lo conferma anche Andrea Puglia, sindacalista dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese (OCST), che monitora da vicino la realtà del lavoro transfrontaliero: “In questi primi mesi dall’entrata in vigore del nuovo accordo diversi diversi lavoratori italiani, a differenza di quanto accadeva in passato, stanno prendendo in seria considerazione l’ipotesi di venire a vivere stabilmente in Svizzera con un permesso B”.  

Su questa situazione influisce pure la questione demografica, come riferisce uno studio di Edoardo Slerca, ricercatore della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, secondo il quale nei prossimi nove-dieci anni 13.500 frontalieri andranno in pensione. Nello stesso arco temporale altri 10mila potrebbero uscire volontariamente dal mercato del lavoro ticinese perché, come detto, lavorare in Ticino diventa meno attrattivo e la tassazione concorrente disincentiva molti candidati dall’Italia. 

E la nuova tendenza non risparmia il settore sociosanitario. Anche qui, infatti, il salario alto comincia a non bastare più per attirare persone formate. 

“È chiaro – spiega Andrea Puglia – che ancora oggi, al netto della nuova tassazione in Italia, da un punto di vista retributivo all’infermiere italiano conviene lavorare in Svizzera: a fine mese può contare su uno stipendio doppio di quello italiano. Però notiamo che diversi infermieri italiani rifiutano il lavoro in Ticino. Questo perché, lavorando in Italia, non devono fare spostamenti importanti, che sono sempre più massacranti, hanno un orario di lavoro settimanale inferiore e molti più congedi. Hanno inoltre più settimane di ferie e, soprattutto, hanno protezioni contrattuali molto importanti”.

Va da sè che per continuare ad attrarre professionisti sanitari dall’Italia “è importante offrire un pacchetto retributivo competitivo, ma anche opportunità di sviluppo professionale, un ambiente di lavoro positivo, flessibilità in termini di orari”, spiega Annalisa Job. Senza dimenticare la possibilità di lavorare a distanza: “Lo smart working è un tema assolutamente attuale, come pure una flessibilità oraria che renda più conciliabile la vita professionale con quella personale”. 

Per attirare le nuove generazioni di lavoratori in Svizzera occorre quindo conoscerne le priorità. “Nel 2022 – afferma Andrea Puglia – i colleghi della Cisl italiana hanno condotto un sondaggio tra i propri iscritti. Parliamo di centinaia di migliaia di lavoratori, quindi si tratta di un sondaggio rappresentativo. Alle persone veniva chiesto di indicare qual sia la componente del contratto più importante. Il salario era solo al terzo posto. Al primo posto c’era il welfare, cioè tutto il tema della previdenza sociale, e al secondo posto c’erano le forme di conciliabilità tra lavoro e vita privata”. 

Ciò significa che il mercato del lavoro è cambiato, come pure chi lavora. “L’equilibrio tra lavoro e vita privata – conclude Annalisa Job – è un fattore estremamente importante nella scelta dell’impiego e del datore di lavoro, soprattutto per le persone giovani, ma anche per le famiglie. È in corso un ripensamento”.

Redazione Nurse Times

Fonte: TvSvizzera.it

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