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Sindrome del “Buon Samaritano Deluso” e “Servitù Volontaria” costringeranno l’infermiere al demansionamento eterno?

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Sindrome del "Buon Samaritano Deluso" e "Servitù Volontaria" costringeranno l'infermiere al demansionamento eterno?
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La “Sindrome del buon samaritano deluso” affligge principalmente i lavoratori appartenenti alle “helping professions“, nelle quali rientra anche l’Infermiere. Il terreno psicologicamente a rischio, dove opera, lo espone a probabile coinvolgimento personale ed emotivo.

L’Infermiere, secondo l’opinione pubblica, ricopre il ruolo di factotum di reparto. Professionista sempre pronto ad esaudire ogni più recondito desiderio dei pazienti che assiste. Spesso, questa capacità, genera compiacimento negli stessi, convinti di essere gli unici ad essere in grado di “mandare avanti il reparto da soli”.

Alcuni citano frequentemente la parola “amore” per descrivere il proprio modus operandi, altri vivono per avere il consenso di medici e coordinatori.

Ma da dove ha origine tutto ciò?

Dopo aver parlato della “Sindrome del buon samaritano” introduciamo il concetto di “Servitù volontaria” che pare adattarsi perfettamente all’atteggiamento adottato da molti Infermieri.

Nessuna legge obbliga infatti il professionista responsabile dell’assistenza infermieristica a rispondere a campanelli, svolgere mansioni domestico-alberghiere ed assecondare desideri e richieste non sanitarie astruse di pazienti e medici. Tutto questo pare essere fatto spontaneamente.

Senza considerare i risultati in termini di salute che sia possibile ottenere instaurando un rapporto di fiducia mediante l’utilizzo di tali espedienti piuttosto che l’instaurarsi di un rapporto cliente/cameriere ci limiteremo a cercare di comprendere l’origine del fenomeno.

Le giustificazioni che vengono date sono le più svariate:

  • Cosa ci vuole a leggere un SMS ricevuto da un paziente, cambiare canale in TV o dare informazioni sull’ora esatta?;
  • Faccio prima a farlo io piuttosto che cercare il professionista idoneo al soddisfacimento del bisogno non infermieristico;
  • Manca il personale di supporto pertanto devo sopperire alla carenza (in eterno probabilmente);
  • Durante il giro letti è possibile pianificare l’assistenza e valutare la cute dei pazienti.

Il discorso cambia quando si parla di servilismo nei confronti di medici o superiori (veri o presunti tali).

Per quale motivo alcuni Infermieri accettano di rassettare il letto del Medico di guardia, di spingere il carrello durante il giro visita, di servire la colazione nell’ufficio del Primario e molto altro ancora?

Considerato che nessuna norma obblighi l’Infermiere ad adempiere neanche a questi compiti perché accade tutto ciò?
Il tema della servitù volontaria è stato trattato molti secoli fa nell’opera intitolata “Il Discorso sulla servitù volontaria” di Étienne de La Boétie, scritto a metà del ’500. Si tratta di un testo che ancora oggi affascina per la forza con cui ammonisce i cittadini che si lasciano asservire da chi detiene potere (generalmente politico).

Questa è la provocazione dell’Autore: anche il potere autoritario più violento e schiavizzante, se si mantiene nel tempo, ha un reale consenso dalla popolazione (infermieristica nel nostro caso), vi è in essa come una volontarietà al servilismo.

Tutto ciò pare sempre essere accaduto nell’ambito infermieristico. Questo fenomeno potrebbe essere in parte conseguenza del retaggio culturale che ha visto l’Infermiere per un’infinità di anni ricoprire il ruolo di figura di supporto dedita a soddisfare qualsiasi desiderio dei superiori medici e dei pazienti.

Ma al giorno d’oggi perché gli Infermieri continuano ad essere ancora così servili?

L’Infermiere è tentato da logiche servili, come se il servilismo fosse insito nella sua stessa natura. La Boétie ci insegna che solo sull’educazione, su una sana cultura, si può sviluppare un cittadino (infermiere nel nostro caso) cosciente e maturo, indipendente nella capacità di giudizio.

Potrebbe entrare in gioco proprio il fenomeno battezzato da La Boétie come “servitù volontaria“. Non si potrebbe quindi sfuggire all’immagine di una condizione storica antecedente la “professionalizzazione” dell’Infermiere configuratasi nel corso degli ultimi secoli.

Siamo davvero sicuri che basti “attribuire” competenze avanzate per convincere gli Infermieri che non sia più loro compito fare quello che è sempre stato fatto?

Può uno slogan strampalato cancellare comportamenti che sembrano quasi dettati da una forma di imprinting che caratterizza molti infermieri a seguire il proprio predecessore dimenticandosi di tutto quanto appreso sui libri universitari?

A Voi le considerazioni!

Simone Gussoni

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