Riceviamo e pubblichiamo una nota della Federazione Migep.
L’idea di riformare l’assistenza nasce da un sogno ambizioso: ridefinire il concetto stesso di cura attraverso strumenti legislativi capaci di tracciare una nuova rotta. La Legge Lorenzin, l’istituzione dell’area sociosanitaria e il DM 73 del 2021 sono stati concepiti come strumenti per riconoscere e valorizzare il lavoro dell’operatore socio-sanitario (oss), collocandolo finalmente nel cuore del sistema assistenziale. Ma il percorso si è rivelato complesso, attraversato da legislature instabili, analisi ignorate e proposte spesso lasciate inascoltate.
Chi ha creduto in questo cammino ha dovuto affrontare resistenze di ogni tipo: il disinteresse delle organizzazioni sindacali, la chiusura degli ordini professionali infermieristici e, soprattutto, l’apatia di una parte della stessa categoria degli oss. È stato forse questo silenzio interno, profondo e diffuso, l’ostacolo più difficile da affrontare. Perché è un silenzio che pesa, che brucia, soprattutto quando si intravedono spiragli di possibilità concrete. In mezzo a questo deserto di ascolto e riconoscimento, si è continuato ad avanzare, metro dopo metro, cercando alleanze, costruendo consenso, tessendo reti di dialogo anche là dove sembrava impossibile.
La battaglia portata avanti dalla Federazione Migep e dal suo Comitato scientifico, composto da SHC OSS e dagli Stati Generali Oss, con la partecipazione del dottor Saverio Proia, non è stata soltanto una resistenza, ma una proposta continua, un’opera di ricostruzione politica e culturale. Il recente ascolto da parte della segreteria tecnica del ministro della Salute il 22 luglio rappresenta un segnale importante. Non un punto di arrivo, ma un passaggio che dovrebbe restituire dignità a un lavoro lungo, costante, a volte solitario.
Si è aperta finalmente una riflessione su figure dimenticate o lasciate ai margini del sistema sanitario: l’oss, le puericultrici, l’infermiere generico. Figure che danno assistenza ogni giorno sul campo, ma che non trovano corrispondenza né nella normativa né nella rappresentazione ufficiale delle professioni sanitarie. L’assenza di un inquadramento giuridico coerente e aggiornato genera conseguenze gravi, non solo sul piano contrattuale, ma sulla stessa organizzazione dell’assistenza.
L’oss oggi svolge mansioni fondamentali nel processo di cura, ma lo fa in un limbo normativo che non lo tutela e non ne valorizza le competenze. La politica sembra aver rinunciato a governare questa evoluzione, lasciando che le disparità regionali, la disomogeneità formativa e i vuoti legislativi producano frammentazione e confusione.
Siamo giunti a un punto in cui non è più possibile ignorare che la domanda di salute, soprattutto nei contesti territoriali e domiciliari, richiede una riorganizzazione strutturale del lavoro assistenziale. Questo comporta il superamento del confine rigido tra “sanitario” e “socio-sanitario”, un confine che oggi appare più ideologico che funzionale. Occorre riconoscere pari dignità a tutte le professioni che compongono il team di cura, perché la complessità del bisogno richiede risposte integrate, competenti, responsabili.
Nel contesto attuale il riconoscimento giuridico e professionale dell’oss non è una richiesta corporativa, ma un atto di responsabilità verso il sistema sanitario stesso. Significa garantire qualità, continuità, prossimità delle cure. Significa dare risposta alla carenza di personale, all’aumento delle cronicità, al bisogno crescente di assistenza integrata. Non si tratta di creare nuovi privilegi, ma di realizzare un principio di equità professionale.
Il riconoscimento dell’oss, così come delle figure lasciate in sospeso, sarebbe una straordinaria occasione di riorganizzazione della sanità pubblica. Perché restituisce valore a chi lavora, ma soprattutto costruisce un sistema più efficace per i cittadini. La presenza dell’operatore socio-sanitario nel team multidisciplinare non può più essere marginale o lasciata all’interpretazione dei singoli enti.
Serve una chiara definizione del profilo, dei compiti, delle responsabilità. Serve una formazione omogenea, coerente con gli standard nazionali. Serve un contratto che riconosca il lavoro svolto, la preparazione richiesta, i rischi affrontati assicurazione. La figura dell’assistente infermiere, oggi in discussione, è un tassello ulteriore di questo disegno. Se concepita come professione sanitaria, deve essere riconosciuta giuridicamente, contrattualmente, professionalmente. Non può restare una figura indefinita, senza collocazione né tutele.
La Federazione Migep ha sempre lavorato affinché le politiche sanitarie assumano una visione realmente inclusiva e riformista. Ha partecipato al tavolo tecnico del ministero nel 2010, ha promosso l’idea dell’area socio-sanitaria, ha prodotto documenti, proposte. Ma oggi è il tempo della decisione politica, della responsabilità pubblica. Non si può continuare a rimandare, a lasciare che siano le abitudini organizzative a decidere chi è dentro e chi è fuori.
L’oss deve essere riconosciuto per quello che è: una figura fondamentale, presente, competente, essenziale per garantire un’assistenza moderna e umana. Il sistema sanitario ha bisogno di professionisti consapevoli, integrati, motivati. Ha bisogno di una nuova alleanza tra sapere tecnico, cura relazionale e responsabilità condivisa.
“Sanitario o socio-sanitario?” non è uno slogan vuoto. È un invito alla chiarezza, al coraggio, alla coerenza. È la richiesta di un sistema che riconosca il valore delle persone che lo sostengono ogni giorno, nei reparti, nelle Rsa, nei domicili, nei servizi territoriali. Lasciamo la parola a chi ogni giorno lavora sul campo e invitiamo tutti gli oss, a esprimersi in una nuova sanità integrata, giusta e moderna, anche verso la nuova figura cercando di aprire una strada ad una possibilità di forma giuridica ed autonoma della professione.
Aprire la strada a una forma giuridica autonoma della professione oss significa disegnare un nuovo modello di assistenza, finalmente vicino ai bisogni reali dei cittadini e rispettoso delle competenze di chi, da troppo tempo, opera in un’ombra non meritata.
Redazione Nurse Times
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