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Sanità pubblica, arrivano assistente infermiere e nuovo oss: più personale, più incertezze?

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Assistente infermiere, Fnopi: "Con questa figura si delineano nuove opportunità. Ora occorre impegno comune"
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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 142 del 21 giugno 2025 il sistema sanitario italiano cambia volto: vengono ufficialmente introdotte due nuove figure chiave per l’assistenza di base e intermedia. Si tratta del nuovo profilo dell’operatore socio-sanitario (oss) e, soprattutto, della nascita dell’assistente infermiere (AI), una figura “ponte” tra l’oss e l’infermiere. Ma dietro questi provvedimenti si apre anche un ampio dibattito su formazione, sicurezza, ruoli e qualità dell’assistenza.

Chi è e cosa fa l’assistente infermiere

L’assistente infermiere è un operatore sanitario che lavora accanto all’infermiere in ospedale, nelle Rsa, nei servizi domiciliari e nelle strutture sociosanitarie. Si tratta di una evoluzione dell’oss con una formazione complementare, pensata per rispondere alla crescente complessità dell’assistenza, legata all’invecchiamento della popolazione e all’aumento di patologie croniche.

Le sue competenze principali includono la rilevazione dei parametri vitali, la somministrazione dell’ossigeno e intervento in situazioni di primo soccorso, il supporto alla somministrazione di terapie (su indicazione dell’infermiere), la collaborazione nell’organizzazione dell’assistenza, l’educazione sanitaria di base alla persona assistita. Il nuovo assistente non agisce in autonomia, ma “svolge la sua attività collaborando e attenendosi ai programmi e alle indicazioni dell’infermiere”.

Come si diventa assistente infermiere

Può accedere alla formazione da assistente infermiere chi è già oss qualificato, ha il diploma di scuola superiore e almeno 24 mesi di esperienza oppure chi non ha il diploma, ma ha svolto almeno 5 anni di attività da oss negli ultimi 8 anni, dopo aver seguito un modulo propedeutico di 100 ore.

Il percorso formativo prevede una durata tra 6 e 12 mesi e almeno 500 ore suddivise tra 200 ore di teoria, 280 ore di tirocinio, 20 ore di simulazioni/esercitazioni. Al termine, dopo un esame teorico-pratico, viene rilasciato un attestato valido a livello nazionale. È previsto anche un obbligo di aggiornamento professionale annuale (minimo un’ora per ogni mese lavorato).

Cosa cambia per l’oss

Un secondo decreto – risalente al 25 marzo 2025 – ha aggiornato anche il profilo dell’operatore socio-sanitario, superando la vecchia definizione risalente al 2001. Tra le principali novità vi sono la durata minima del corso: ora di almeno 1.000 ore (con più spazio a esercitazioni e tirocinio); l’integrazione più forte tra teoria e pratica, con tutoraggio strutturato; l’ampliamento dei contesti lavorativi: non solo sanità e sociale, ma anche ambito scolastico, penitenziario e psichiatrico. I requisiti restano accessibili: 18 anni compiuti e diploma di scuola media. Anche per l’oss è previsto un obbligo di aggiornamento annuale.

Due figure diverse, ma integrate. Eppure…

Nel disegno normativo, oss e assistente infermiere non sono in competizione, ma ruoli complementari. L’obiettivo dichiarato è rafforzare le équipe assistenziali, in modo flessibile e uniforme. La formazione, infatti, sarà affidata alle Regioni, con l’idea di adattarsi alle esigenze locali ma mantenendo una cornice nazionale condivisa.

Tuttavia restano molte incognite: come sarà valutata l’effettiva sicurezza degli interventi se le competenze restano “ibride”? Che futuro attende l’oss, se parte delle sue competenze viene assorbita da un nuovo profilo più “avanzato”? Questa riforma servirà davvero a migliorare l’assistenza ai cittadini o solo a colmare le carenze organiche?

Il sistema sanitario italiano soffre da anni di carenza cronica di infermieri, tagli al personale e aumento dei carichi di lavoro. Con l’introduzione di nuove figure meno costose da formare e da impiegare il pericolo è che si scelga la strada del risparmio e non quella della qualità. E quando si parla di salute, questo può avere conseguenze serie.

Le riforme avviate sono senza dubbio significative, ma è essenziale che non diventino scorciatoie mal progettate. Serve un sistema che sappia valorizzare chi già lavora in prima linea e costruire davvero una rete di assistenza competente e sicura. Perché la sanità pubblica è un diritto di tutti, e la qualità dell’assistenza non può essere oggetto di sconti.

Anna Arnone

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