Home NT News Cure palliative: l’esperienza di fine vita della giornalista Laura Santi e i limiti dell’assistenza ai pazienti neurologici
NT News

Cure palliative: l’esperienza di fine vita della giornalista Laura Santi e i limiti dell’assistenza ai pazienti neurologici

Condividi
xr:d:DAFNbWgrSFg:352,j:2180150150686080018,t:23110210
Condividi

Sancite per legge dal 2010, nel nostro Paese le cure palliative rappresentano “un processo ben lungi dall’essere compiuto: condizionato da diseguaglianze territoriali, carenza di personale specializzato, mancanza di politiche sanitarie adeguate, barriere culturali e sociali”.

La firma in calce al messaggio – diffuso in occasione dell’ultima Giornata mondiale della salute (7 aprile) – è della Società italiana cure palliative (Sicp). I limiti di cui si discute più spesso sono quantitativi: appena a un malato su quattro viene garantito un percorso specifico di questo tipo.

Ma la discriminazione è anche qualitativa, se si considera che ad accedervi (in maniera comunque non ottimale) sono soprattutto i pazienti affetti da un tumore (le cure palliative nascono come complemento alle cure oncologiche). Pressoché eccezionali, invece, le opportunità per i pazienti neurologici, in cui la natura di molte malattie è cronica e degenerativa.

Con esigenze che – al di là della durata del percorso: spesso rapido per la sclerosi laterale amiotrofica, lungo per la sclerosi multipla e la malattia di Parkinson – divengono via via sempre più complesse. E con il rischio di una perdita di autonomia nel fine vita che, quando si concretizza, si traduce in sofferenze evitabili e in una serie di procedure sanitarie improprie.

L’esperienza di Laura Santi: palliazione e fine vita nelle malattie neurologiche

L’esperienza di Laura Santi – affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla e venuta a mancare nelle scorse ore ricorrendo al suicidio assistito: nono caso di questo tipo in Italia – ha riportato d’attualità il tema delle cure palliative e del fine vita nell’ennesima fase di dibattito politico attorno a una possibile nuova legge sul fine vita.

La cronaca degli ultimi giorni ha riacceso i riflettori sui bisogni dei pazienti affetti da una malattia neurologica ormai incurabile. In linea teorica, le cure palliative rappresentano un percorso assistenziale di accompagnamento globale che può iniziare precocemente nella storia clinica del paziente: nel momento in cui è nota l’impossibilità di determinare una guarigione.

Per dirla con Danila Valenti, responsabile della rete cure palliative dell’Azienda Usl di Bologna e vicepresidente della Sicp, “non siamo di fronte a un atto estremo, ma a un diritto di continuità e appropriatezza terapeutica”.

Tante prove a sostegno della neuropalliazione

L’approccio – consistente nell’erogazione di quell’insieme di trattamenti (medici, ma anche psicologici e spirituali) finalizzati a ridurre il dolore determinato da una malattia inguaribile e a migliorare la qualità della vita: dei pazienti e dei loro famigliari – è fondamentale per gestire sintomi complessi e supportare il paziente e la sua famiglia in tutte le fasi della malattia.

Come indicato in una review pubblicata nel 2016 sull’Europan Journal of Neurology da un panel di esperti della European Association of Palliative Care e della European Academy of Neurology, le prove più solide riguardano:

  • l’integrazione precoce delle cure palliative;
  • il coinvolgimento dell’equipe multidisciplinare allargata (neurologi, medici di medicina generale, specialisti in cure palliative, terapeuti, psicologi, assistenti sociali, cappellani, infermieri, rappresentanti dell’advocacy, farmacisti, pediatri);
  • la comunicazione con i pazienti e le famiglie (inclusa la pianificazione anticipata delle cure), il supporto e la formazione dei caregiver e dei professionisti coinvolti nell’assistenza, la gestione dei sintomi e le terapie di fine vita.

Le peculiarità della comunicazione in neurologia

Ma nel vasto ambito neurologico – dalla neurotraumatologia alla neuroncologia, passando per il più ampio ventaglio della gestione dei postumi di un ictus e delle malattie neurodegenerative – tutto ciò avviene in maniera ancora troppo sporadica.

“Questi pazienti – spiega Marta De Angelis, palliativista della Usl Umbria 2 e segretaria della Sicp – spesso affrontano anni di sofferenza, di autonomia limitata, di necessità sanitarie e assistenziali senza un supporto adeguato, con sintomi non controllati e famiglie lasciate sole ad affrontare il peso emotivo e pratico della malattia”.

La peculiarità dei loro bisogni è descritta da Alessandra Solari, dirigente medico della Fondazione Irccs Istituto neurologico Carlo Besta Milano. “Con le opzioni terapeutiche oggi disponibili e il decorso spesso degenerativo di queste patologie, la comunicazione con i pazienti ha un ruolo fondamentale. Dobbiamo fornire un’assistenza basata sulle evidenze, ma anche coerente con gli obiettivi del singolo. E sapere trasferire quel margine di incertezza che accompagna le nostre decisioni: pur conoscendo la traiettoria di una malattia, ai pazienti e ai loro famigliari va detto che in molti casi non siamo in grado di definire sempre la prognosi”.

A ciò occorre aggiungere la questione dell’autonomia degli assistiti. “Le malattie neurologiche sono considerate più intrinseche rispetto al cancro – aggiunge la specialista, membro del gruppo di studio bioetica e cure palliative della Società italiana di neurologia (Sin) –. La diffusione della neuropalliazione precoce è fondamentale per permettere a tutti i pazienti di comprendere e condividere anche decisioni mediche complesse. Cosa che non è sempre possibile nelle fasi più avanzate di diverse malattie”.

Chi garantisce le cure neuropalliative?

L’eccezionalità del servizio – nonostante siano trascorsi ormai sette anni dalla pubblicazione del documento Le cure palliative nel malato neurologico: condiviso da Sin e Sicp – affonda le sue radici nella carenza di medici e infermieri deputati alla erogazione delle cure palliative.

Nelle unità chiamate a garantire l’assistenza domiciliare specialistica, di fatto quella di cui maggiormente necessitano i pazienti neurologici con interventi di base o curati da équipe specialistiche multiprofessionali, “parliamo di più del cinquanta per cento di camici bianchi e di oltre due terzi degli infermieri”, asserisce da tempo Gino Gobber, fino a pochi mesi fa alla guida della Sicp e direttore dell’unità operativa complessa multizonale di cure palliative dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento.

Ma la scarsa sensibilità e attenzione nei confronti di questo tema – per le cure palliative il Nuovo sistema di garanzia (Nsg), con cui il ministero della Salute monitora l’applicazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), rileva soltanto i servizi erogati ai pazienti oncologici, sollevando le Regioni dalle proprie responsabilità – emerge anche dalle difficoltà di fare ricerca sulle migliori pratiche da adottare nella neuropalliazione.

Come migliorare la neuropalliazione?

Un tema dai più quasi mai considerato, che nei mesi scorsi è stato rilanciato da un pool di ricercatori statunitensi in un articolo pubblicato su Jama neurology.

Gli esperti hanno individuato tre aree di intervento per migliorare la qualità della vita dei pazienti neurologici: occorrono un’accurata valutazione dei sintomi e degli esiti terapeutici descritti dai malati e dai loro caregiver, lo sviluppo di interventi e modelli di erogazione di cure efficaci e l’erogazione e la misurazione di trattamenti conformi agli obiettivi nel corso del tempo. Il tutto partendo dalla real world evidence, data la difficoltà (soprattutto etica) di condurre trial clinici randomizzati in questo ambito.

“Occorre esplorare le possibilità di adattamento di interventi già condotti e rivelatisi efficaci”. E’ quanto messo nero su bianco dagli autori, tra cui figurano pure rappresentanti dei pazienti e della comunità dei caregiver. Universalizzazione, scalabilità e sostenibilità sono i vocaboli per passare dalla teoria alla pratica. Secondo gli esperti, gli studi finanziati e (soprattutto) gli interventi testati per una specifica coorte di pazienti neurologici andrebbero “valutati e ove possibile adattati ad altri gruppi di pazienti affetti da diversi disturbi neurologici con sintomi simili”.

Servono bandi ad hoc per la ricerca

Provando a traslare queste indicazioni nel contesto italiano, Solari ritiene che “lo sforzo debba giungere da entrambi i poli: i palliativisti devono conoscere meglio le traiettorie delle malattie neurologiche, ma anche noi dobbiamo approfondire i principi della palliazione e imparare a coinvolgere i colleghi fin da subito, quando necessario”.

Sul piano della ricerca, “le società scientifiche, internazionali e italiane, mostrano già da qualche anno un interesse crescente nei confronti della neuropalliazione – conclude Solari –. Non esiste però un piano di finanziamento in questo ambito. Si va avanti grazie ai bandi indipendenti, ma dei percorsi di sostegno ad hoc stimolerebbero i ricercatori e i centri di cura a cercare supporto per più progetti”.

La formazione che manca negli atenei italiani

Se finora l’erogazione delle cure palliative è rimaste ai margini dell’assistenza, poco rassicuranti risultano anche i dati che giungono da una survey condotta su un pool di aspiranti neurologi italiani. I risultati sono stati pubblicati sull’European Journal of Neurology.

Partendo dalla consapevolezza che non esistono disposizioni specifiche in materia di formazione e sulle cure palliative e sulla loro pianificazione anticipata e che, di conseguenza, “gli insegnamenti mancano di uniformità e variano da un ateneo all’altro”, i ricercatori hanno interpellato i camici bianchi sulle loro conoscenze in materia.

Se per una quota compresa tra il 78 e il 96 percento dei rispondenti (188, il 22 percento degli aspiranti neurologi iscritti alle 36 scuole di specializzazione attive lungo lo Stivale) il supporto del palliativista risultava “molto importante” (soprattutto per coloro che si occupano di neuroncologia, malattie del motoneurone, demenze e ictus), oltre 7 su 10 hanno segnalato esigenze formative: teoriche e pratiche.

Un dato inevitabile, a fronte di un misero nove per cento di medici che ha dichiarato di aver ricevuto una formazione specifica durante il percorso di specializzazione. Inevitabili anche le conclusioni: “È necessario rendere obbligatoria la formazione in cure palliative nei programmi di formazione specialistica in neurologia”.

Redazione Nurse Times

Fonte: AboutPharma

Articoli correlati

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati
CampaniaNT NewsRegionali

Concerto di Geolier ad Agnano, ambulanze 118 usate anche per le emergenze territoriali: la denuncia di Nessuno Tocchi Ippocrate

Ambulanze 118 impegnate in doppio incarico durante l’evento privato all’Ippodromo di Agnano....

InfermieriNT NewsPolitica & Sindacato

Nursing Up: “Con pochi infermieri il rischio di mortalità negli ospedali aumenta del 9,2%”

“L’ennesima prova scientifica che conferma quanto Nursing Up denuncia da anni: meno...

Asl Caserta, carenza di infermieri: Nursind scrive al dg Russo
CampaniaNT NewsRegionali

Rivoluzione digitale in sanità: Asl Caserta protagonista del cambiamento

Garantire maggiore efficienza ai servizi e una migliore allocazione delle risorse. Questo...

NT News

Florida, donna picchiata in una struttura per anziani perché parlava troppo: arrestato il gestore

Il gestore di una residenza assistita di Umatilla, in Florida, è stato...