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Ricerca oncologica e farmaci biomolecolari

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Ricerca oncologica e farmaci biomolecolari
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La ricerca su farmaci nuovi segue una serie di tappe codificate a livello internazionale alle quali i ricercatori devono attenersi. Si tratta di un meccanismo messo in piedi nel tempo a tutela della salute dei malati. Bisogna infatti partire dal presupposto che nessun farmaco è privo di effetti collaterali, neanche i più “intelligenti”: tutti possono fare danni, grandi o piccoli, e tali danni devono essere messi in evidenza prima che la cura sia a disposizione di tutti i pazienti.

Per questo la ricerca clinica su una nuova molecola parte dall’elaborazione del cosiddetto protocollo: chi potrà entrare nella sperimentazione, quali caratteristiche dovrà avere (sesso, età, tipo di malattia, gravità della stessa) perché il risultato sia il più chiaro possibile. Il protocollo sperimentale deve essere sottoposto a una serie di enti di controllo sia scientifici (per esempio i ministeri della Salute o gli enti regolatori dei farmaci, come la Food and Drug Administration statunitense o l’EMEA in Europa) sia etici. E’ necessario, infatti, che qualcuno vegli sul rispetto dei diritti fondamentali di chi accetta di fare da “cavia” per un nuovo studio.

Quando un team di ricercatori comincia a immaginare una nuova cura, si avvia la cosiddetta fase preclinica, che consiste nello studio, in laboratorio e su modelli in vivo, delle proprietà chimiche e tossicologiche della sostanza. Non basta infatti che una cura sia efficace nei confronti del bersaglio previsto (e che quindi curi l malattia); bisogna anche che non sia tossica, altrimenti non sarà di nessuna utilità.

Una volta passata questa fase, che coinvolge diverse molecole spesso chimicamente simili tra loro, la migliore viene avviata alla cosiddetta sperimentazione clinica, ovvero viene testata sull’uomo. Dalla fondamentale prima idea alla commercializzazione della cura, passano in media dai 10 ai 12 anni e, sebbene molti pazienti e anche molti medici desiderino accorciare questi tempi, ciò non è possibile: i tempi della ricerca clinica di una nuova cura sono un’ulteriore garanzia per i futuri consumatori.

Il farmaco, uscito dal laboratorio, viene avviato alla cosiddetta fase 1, il cui obiettivo è quello di valutare per la prima volta se la sostanza è tossica nell’uomo e qual è la dose soglia oltre la quale è meglio non andare. Lo scopo non è quello di curare la malattia: i volontari selezionati possono anche essere soggetti sani (quasi mai per i farmaci antitumorali) e poco numerosi (qualche decina).

Se la molecola ottiene la “patente di sicurezza”, passa alla fase 2. Lo scopo di questa tappa è ancora diverso: si vuole per la prima volta, verificare se effettivamente la cura è attiva contro la malattia per la quale è stata inventata, per cui si selezionano pazienti (in genere non più di un centinaio) il più possibile simili tra loro per caratteristiche individuali e della patologia. In questo modo i dati ottenuti sono chiaramente interpretabili. Anche in questa fase si fa attenzione ad eventuali effetti collaterali e tossici e si stabilisce qual è la posologia ottimale (dosaggio e tempi della somministrazione).

Se anche questa fase trascorre senza incidenti di rilievo e se il farmaco dimostra la sua attività, si passa alla fase 3: la nuova cura viene confrontata alla terapia standard già esistente per verificarne la reale efficacia; partecipano diversi ospedali in tutto il mondo e il numero dei pazienti reclutati aumenta (nell’ordine delle migliaia). Solo facendo crescere il numero di persone sottoposte alla sperimentazione (sempre però nell’ambito di un preciso protocollo) è possibile verificare se esistono effetti collaterali rari che difficilmente si possono scoprire finché la cura è somministrata a poche persone.

A questo punto tutta la documentazione viene portata dalla casa farmaceutica che ha studiato il nuovo farmaco all’ente regolatore che la esamina e approva la messa in commercio. Ora la nuova cura è a disposizione di tutti ma, non viene abbandonata se stessa, poiché possono comparire effetti collaterali rarissimi, nell’ordine di un caso su milioni di utilizzatori.

E’stata istituita la cosiddetta fase 4, chiamata anche sorveglianza post-marketing. Qualsiasi effetto collaterale, sia pur minimo non notato nelle fasi precedenti, vien segnalato alle autorità, che ne considerano l’importanza ed eventualmente cambiano le indicazioni o il foglietto illustrativo del farmaco o, in casi veramente estremi, dispongono il ritiro della cura dal commercio.

Autori: Marco De Virgiliis, Gessica Angelini e Domenico Dentico

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