Nella sanità di oggi siamo abituati a leggere un nuovo volto dell’infermiere che lavora in numerosi ambiti: l’infermiere di famiglia e di comunità, l’infermiere di ricerca, l’infermiere scolastico, l’infermiere di genetica, l’infermiere di ricerca. Tuttavia non si riesce a cogliere che c’è ancora una precarietà di non poco conto: la carenza di personale, l’assenza di strutture e di organizzazione del sistema di emergenza-urgenza sono esigenze che possono sintetizzarsi nel precariato nella sanità pubblica. Questa vera e propria emergenza si è sommata all’allungamento delle liste d’attesa, ai rinvii di interventi chirurgici considerati minori.
Negli Stati Uniti esistono infermieri assunti per incarichi negli ospedali con esigenze di personale a breve termine, in genere 12 settimane, ma si tratta di una scelta personale e di carriera per gli infermieri che hanno almeno l’esperienza di un anno di lavoro e che nutrono il desiderio di cambiare stile di vita, di cogliere un miglioramento durante la propria carriera lavorativa, di retribuzione o di stile di vita, con una maggiore flessibilità e un arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze. Questa flessibilità è molto richiesta per criticità o esigenze stagionali, come è avvenuto durante la pandemia da Covid-19.
Gli infermieri provenienti da diversi contesti formativi e aree di cura indubbiamente forniscono dunque un valido contributo alla pratica clinica: la condivisione di idee ed esperienze non solo avvantaggia i pazienti, ma anche lo stesso team. I travel nurses, così definiti in America, nonostante questa opportunità lavorativa flessibile e arricchente, necessitano di ulteriori implementazioni, quali il possesso di un passaporto, le vaccinazioni aggiuntive, le conoscenze della lingua e delle malattie autoctone.
Il concetto di precarietà assume quindi forme e modalità diverse a seconda della cultura di appartenenza. In Italia il concetto di precarietà, che ha quasi raggiunto il 65% durante l’ondata Covid-19, abbraccia ormai una richiesta che si attende da tempo sottolineata proprio in questi tempi di emergenza e di fragilità: la stabilizzazione dei precari in sanità.
Con questa espressione ci si riferisce a tutti quei meccanismi, previsti dall’ordinamento italiano, attraverso i quali i lavoratori che prestano la propria attività professionale con un contratto “a termine”, dunque flessibile, acquisiscono la posizione di lavoratori a tempo indeterminato presso l’ente presso il quale prestano il servizio. Essi non saranno più sottoposti al rischio di non vedersi più riconfermato il proprio incarico lavorativo presso l’amministrazione di appartenenza, una volta scaduto il contratto.
L’utilizzo dei contratti a termine e l’indizione lenta dei concorsi pubblici è costata cara in tutti questi anni allo Stato italiano, non solo in termini economici per fini risarcitori, ma anche per allinearsi all’art. 36 del D.lgs. 165/2001 che prevede “l’utilizzo di contratti a termine da parte della Pubblica amministrazione solo per esigenze temporanee ed eccezionali”.
L’attuale disegno di legge include 219 articoli e, in merito alla stabilizzazione dei precari Covid-19, vi è l’articolo 92, intitolato “Proroga dei rapporti di lavoro flessibile e stabilizzazione del personale del ruolo sanitario”, nel quale sono introdotte le misure finalizzate a rafforzare e supportare strutturalmente i servizi sanitari regionali per consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza, anche al fine della stabilizzazione.
Gli stessi legislatori si sono pronunciati in merito al danno da illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze della pubblica amministrazione. Come ad esempio nella sentenza n. 29920 del 25 ottobre 2021, con cui la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione e ha enunciato il principio secondo cui “nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno”.
I dati allarmanti inducono quindi a una riflessione senza precedenti: occorre ripensare a una sanità non più precaria, ma stabile e forte. A partire proprio dal suo personale, che va assunto attraverso procedimenti concorsuali che garantiscano contratti a tempo indeterminato e che pongano fine al ricorso ai contratti a termine, garantendo inoltre la possibilità al personale sanitario che per esigenze personali ha scelto una contrattualità stabile fuori dalla propria regione di poter ritornare e fornire il proprio valido e arricchito contributo nella pratica clinica. Senza dimenticare di fornire una definitiva soluzione ai numeri di un precariato che non può sostenere una sanità a lungo termine.
Anna Arnone
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