INTRODUZIONE (PDTA – HIV -AIDS)
Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un’evoluzione del SSN italiano. Questa ci ha permesso di poter migliorare la qualità dell’assistenza e delle prestazioni erogate, ma soprattutto di continuare ad offrire a tutti i cittadini cure gratuite e universalistiche, come recita l’ART. 32 della Costituzione:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Attualmente, il sistema sanitario nazionale si trova a dover fronteggiare costi in continua ascesa, per rispondere alle crescenti esigenze di salute di una popolazione composta maggiormente da persone anziane con pluripatologie che, cronicizzano nel tempo e che, mostrano complessità cliniche articolate.
Tutto questo comporta un costante aumento del costo che il sistema sanitario presenta al governo, minacciando la sostenibilità e con questa il sogno di poter mantenere un sistema universalistico di assistenza.
La lievitazione dei costi è legata oltre che all’aumento dell’età media anche ai costi delle grandi macchine di diagnostica, che devono essere di continuo mantenute e ammodernate; a terapie chirurgiche complesse e sofisticate; a cure sperimentali oncologiche che, spesso non portano benefici in termini di qualità e quantità di vita.
In questo scenario che già richiedeva una nuova strategia, l’arrivo in Italia della pandemia causato dal COVID-19, ha visto la nostra nazione perseguire con grande difficoltà la salute del singolo e della collettività a causa delle carenze di risorse e mezzi, e soprattutto nell’individuare le attività più opportune per raggiungere il fine ultimo cioè quello di produrre salute.
Allo stesso tempo la pandemia ci ha permesso di accelerare tutti quei processi che necessitavano da tempo di essere rinnovati e rendendo più chiara la visione su cui indirizzare energie e fondi economici al fine di elaborare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato dal consiglio europeo nel mese di luglio 2021, con l’obiettivo d’incentivare e guidare uno sviluppo VERDE e DIGITALE della Nazione.
Ad oggi possiamo enunciare che il nostro sistema sanitario nazionale si sta adeguando ad un mutato contesto demografico, che ci condurrà a spostare l’attenzione dei pazienti dall’ospedale al territorio promuovendo una sanità di prossimità, più vicina alle persone; una sanità più sicura, equa e sostenibile grazie all’innovazione tecnologica ed alla digitalizzazione e investendo sulla ricerca e sulla formazione del personale.
Per realizzare la missione 6 del PNRR sarà necessario potenziare l’assistenza territoriale tramite la creazione di nuove strutture, come Ospedali di Comunità e Case della Comunità, rafforzare l’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina, la digitalizzazione e l’aumento del personale impiegato sia nel SSN.
La riorganizzazione sanitaria prevede l’implementazione e la promozione dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali.
L’attenzione del seguente elaborato nel sensibilizzare l’introduzione nei contesti sanitari dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali rivolti ai malati HIV-positivi.
Questo tema emerge dall’osservazione durante l’assistenza infermieristica di tutti quei malati considerati “fragili” che, necessitano di un’adeguata presa in carico al fine di prevenire le complicanze ed evitare un re-ospedalizzazione precoce.
PDTA
I Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) sono percorsi di assistenza integrata multiprofessionali, costruiti sulla base delle linee guida, per curare persone con una specifica condizione patologica, definendo la migliore sequenza temporale possibile delle attività di diagnosi, trattamento e assistenza.
L’obiettivo del PDTA è migliorare gli esiti di salute del paziente, la qualità dell’assistenza e l’esperienza delle cure ricevute durante la malattia e garantendo la sua sicurezza.
In Italia, attualmente, HIV si presenta con un’incidenza di 2,2 nuovi casi di infezione su 100.000 abitanti.
L’insorgenza di questa nuova patologia è stata riconosciuta nel 1981 quando i CDC di Atalanta registrarono casi sospetti di polmonite da Pneumocystis carinii e nel 1983 fu poi isolato per la prima volta il responsabile della nuova patologia, il virus HIV (Human Immuniodeficiency Virus).
Il virus HIV, appartiene alla famiglia dei retrovirus, entrato nel circolo sanguigno dell’ospite ricerca alcune particolari cellule bersaglio, con una particolare proteina denominata CD4.
Le cellule umane CD4 positive sono il bersaglio del virus; nell’organismo umano le cellule più ricche di CD4 sono alcuni tipi di linfociti cruciali nel processo di difesa immunitaria, denominati helper o inducer.
Una caratteristica particolare dei retrovirus è quella di integrarsi nel DNA della cellula che hanno infettato, costituendo così un serbatoio ineliminabile, che gli garantisce la sopravvivenza nell’organismo a tempo indeterminato.
L’effetto patogeno del virus HIV è quello di ridurre il numero dei linfociti CD4; un numero inadeguato di linfociti CD4+ paralizza il sistema immunitario, limitandone l’efficacia, rendendo le persone colpite più suscettibili alle infezioni.
L’immunodepressione che ne deriva rende possibile lo svilupparsi di patologie che non colpiscono le persone con un sistema immunitario normale, per questo vengono definite opportunistiche.
L’infezione può essere suddivisa in tre stadi: l’infezione acuta si manifesta dopo circa 3 settimane ed è caratterizzata dalla comparsa di una febbre indifferenziata; dalla fase acuta si passa allo stadio di latenza clinica (può durare per molti anni); una persona con infezione da HIV in questa fase non ha alcun sintomo, pertanto non è riconoscibile né sospettabile.
Quando il numero di linfociti scende al di sotto di una soglia critica, l’organismo non riesce più a difendersi da una serie di microrganismi scarsamente patogeni detti opportunisti (virus, batteri, funghi e protozoi) e si manifestano le patologie opportunistiche.
Solo nell’ultimo stadio, si parla di AIDS conclamato quando una persona con infezione da HIV manifesta una patologia opportunistica.
La sintomatologia da infezione primaria da HIV (che in alcuni casi può essere asintomatica), è caratterizzata dalla comparsa da 1 a 3 settimane di sintomi variabili quali febbre, rash, malessere, stanchezza, artralgie, faringite, cefalea e linfoadenopatia.
La sintomatologia sopra descritta è cruciale per la diagnosi da HIV e deve essere nota non solo agli specialisti di malattie infettive ma soprattutto ai medici che intercettano più frequentemente i pazienti affetti da infezione primaria.
L’obiettivo principale della terapia antiretrovirale di combinazione, in tutti i pazienti, consiste nel ridurre la viremia al di sotto della soglia di rilevabilità e mantenerla tale per il maggior tempo possibile.
Le linee guida recanti indicazioni “sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali e sulla gestione diagnostica-clinica delle persone con infezione da HIV positive assumono la centralità della continuità di cura nel trattamento nell’infezione da HIV.
In particolare, la maggiore sopravvivenza ed il conseguente invecchiamento della popolazione HIV a cui si associa un aumento delle comorbilità, implica che la valutazione clinica debba andare oltre gli aspetti strettamente HIV correlati ed ampliarsi con la gestione di comorbilità, politerapie, patologie geriatriche, condizioni di disabilità e marginalità sociale.
In questo contesto un approccio multidisciplinare consente di costruire un percorso di cura nella quale si integrano le competenze dello specialista HIV con quello di altri specialisti; permettendo la costruzione di un percorso di assistenza condiviso e necessario per garantire una personalizzazione dell’intensità di cura.
Nell’anno 2020 è stato difficile mantenere una adeguata offerta di assistenza in presenza in tutte le regioni italiane causata dalla regole di distanziamento provocata dalla pandemia da SARS-COV 2 .
L’impiego della telemedicina da parte degli specialisti ospedalieri è stato e potrà essere uno strumento unico utile, per promuovere la continuità assistenziale.
La verifica dei PDTA diventa necessario al fine di monitorare la corretta gestione dei pazienti in quanto la continuità di cura è una condizione fondamentale per evitare la ripresa della replicazione virale e complicanze.
L’attenzione è focalizzata in particolar modo su PDTA-HIV prodotti in Lombardia e in Veneto; due regioni che non trovandosi nel piano di rientro, sono più libere sotto il profilo della spesa sanitaria e degli investimenti sulla salute.
La finalità del lavoro è stata la stesura di un documento condiviso che possa divenire un punto di riferimento uno strumento di orientamento e una guida per la definizione dei PDTA-HIV nelle Regioni, con l’obiettivo prioritario che l’approccio al paziente HIV+ divenga il più possibile omogeneo ed orientato alla qualità di cura e di vita.
Il PDTA-HIV deve contenere indicazioni operative semplici e di facile realizzazione e deve partire dalla presa in carico del paziente; da parte delle U.O. di malattie infettive, anche nel caso di pazienti affetti da più patologie.
Il tema dell’accesso alle cure deve essere sempre garantito per tutte le persone HIV; le regioni attraverso i PDTA-HIV dovranno assicurare standard di cura che rendano disponibili al paziente tutti i farmaci e tutti i regimi di monitoraggio e diagnostiche ritenute necessarie, indipendentemente dal loro costo, utilizzando come unica regola l’appropriatezza della cura scelta dallo specialista.
L’appropriatezza dovrà rappresentare l’elemento chiave nella programmazione delle cura dell’HIV; in questo senso il PDTA avrà valore di orientamento e indirizzo per l’infettivologo, lasciandogli la possibilità di adattare al caso specifico i percorsi diagnostici terapeutici personalizzati.
Un elemento essenziale dell’appropriatezza è legato all’utilizzo delle risorse: in questo senso al fine di mantenere sostenibili e in equilibrio nel tempo i sistemi sanitari regionali, i PDTA-HIV, pur mettendo a disposizione tutte le terapie disponibili, dovranno richiamare la necessità che, a parità di efficacia e tollerabilità, il medico faccia ricorso alla terapia meno costosa.
Efficacia della terapia
Un orientamento importante, condiviso dagli esperti del gruppo di lavoro, è che proprio in considerazione della centralità del concetto di appropriatezza terapeutica, il PDTA non dovrà dare indicazioni riferite unicamente all’efficacia del farmaco antiretrovirale, ma anche ad elementi quali il benessere complessivo del paziente, la tollerabilità del farmaco non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo e le possibili interazioni con altri farmaci assunti dal paziente.
L’accesso ai farmaci antiretrovirali deve poter garantire nel lungo periodo la massima aderenza al trattamento al fine di mantenere la soppressione virologica.
In questo senso è preferibile ridurre al minimo il numero delle compresse, tenendo conto dei sempre più frequenti casi di comorbilità che comportano l’assunzione di più terapie.
Si tratta di una raccomandazione importante, stante la tendenza in alcune Regioni a promuovere risparmi di spesa anche attraverso questo meccanismo.
Continuità della cura e retention in care
Nel concetto di continuità della cura il PDTA–HIV deve sviluppare e favorire una visione di lungo, se non lunghissimo, periodo del paziente HIV; le cure somministrate, la qualità di vita assicurata, la semplicità gestionale della cura dovranno essere pensate in riferimento ad una patologia cronica.
Nel mettere al centro la persona HIV+, i PDTA dovranno considerare come essenziali anche elementi quali la semplicità di accesso a terapie e controlli, o la flessibilità nella erogazione del farmaco, la prossimità del centro di cura, non solo con attenzione alla situazione presente, ma anche al futuro.
Un PDTA HIV è necessario consideri alcune variabili significative: la prima è l’aderenza alla terapia che influisce positivamente sulla qualità di vita del paziente ed è in grado di incidere positivamente nel tempo sui costi sanitari diretti, favorendo una sostenibilità di medio-lungo periodo.
Inoltre, dal punto di vista epidemiologico, una maggiore aderenza è in grado di accelerare il processo di eliminazione dell’infezione, grazie ad un maggiore controllo virologico nelle persone HIV+.
Dal punto di vista dei costi sociali della malattia, poter contare su terapie di nuova generazione in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti, comporta effetti positivi sui costi indiretti dell’HIV legati al miglioramento della capacità professionale, alla maggiore possibilità per i pazienti di investire sul loro futuro, alla minore esigenza di un supporto assistenziale.
Nel porre attenzione al paziente ispirandosi alla logica di un’infezione cronica, sarà opportuno che venga focalizzato il tema della retention in care, approfondendo i motivi per cui alcuni pazienti non effettuano regolari follow-up, non assumono la terapia, o non la assumono regolarmente.
Una recente ricerca sui motivi alla base dei casi di lost in follow up in pazienti HIV ha evidenziato come nella mancata retention in care le caratteristiche personali del paziente pesino in modo preponderante, con percentuali di interruzione della cura preoccupanti nei pazienti più giovani o extracomunitari, ma anche alcuni elementi organizzativi riferiti alle visite
Per garantire un eccellente qualità assistenziale è necessario avvicinarsi sempre di più al paziente predisponendo la presa in carico di quest’ultimo e garantendo un’assistenza personalizzata soprattutto rivolta a quelle persone fragili che necessitano di essere accompagnate e motivate nel percorso terapeutico per evitare ricadute ed acutizzazioni di patologie croniche che aggravano sulla qualità di vita del paziente e sul fattore economico della sanità.
Quindi devono essere perfezionati, laddove inadeguati, gli interventi organizzativi in grado di facilitare l’accesso alla terapia, primo fra tutti l’introduzione di una maggiore flessibilità nella dispensazione dei farmaci se richiesta e motivata dal paziente.
Il tema delle terapie innovative dal punto di vista delle modalità di somministrazione deve essere trattato da un PDTA-HIV.
I farmaci assumibili su base mensile, quando disponibili, giocheranno un ruolo importante nella qualità della vita delle persone HIV e nella possibilità di migliorarne l’aderenza alla terapia, e dovranno essere resi disponibili per i pazienti appena possibile, in una logica di valutazione costo-efficacia che consideri non solo il prezzo del farmaco, ma anche le ricadute positive e per garantire un’eccellente qualità assistenziale. E’ necessario avvicinarsi sempre di più al paziente predisponendo la sua presa in carico e garantendo un’assistenza personalizzata soprattutto rivolta a quelle persone fragili che necessitano di essere accompagnate e motivate nel percorso terapeutico; evitando ricadute ed riacutizzazioni di patologie croniche che gravano sulla qualità di vita del paziente e sul fattore economico della sanità.
L’attenzione del mio elaborato si è voluta focalizzare in modo particolare su i PDTA-HIV al fine di sensibilizzare i lettori ad adottare uno strumento guida, considerando l’importanza che tale patologia riveste ancora oggi in termini epidemiologici.
L’obiettivo di un PDTA è d’incrementare la qualità dell’assistenza migliorando l’outcome dell’approccio terapeutico, promuovendo la sicurezza dei pazienti, aumentando la soddisfazione dell’utenza ed ottimizzando l’uso delle risorse.
Così si giunge alla conclusione che se si vuole mantenere alta la qualità del SSN, si devono escogitare nuove strategie ed uno di questi è l’utilizzo del percorso diagnostico-terapeutico soprattutto verso quelle malattie che, grazie ai progressi scientifici e tecnologici si stanno modificando in patologie croniche in una popolazione sempre più anziana.
Michela Col
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