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Malattia da virus Ebola: linee guida ministeriali

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Malattia da virus Ebola: linee guida ministeriali
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Tratto dal portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute

Aspetti epidemiologici

Per l’elevato potenziale di contagiosità il virus Ebola è classificato dall’Oms tra gli agenti patogeni che richiedono un livello di biosicurezza 4 (BLS 4). Il virus Ebola tende a provocare epidemie, spesso circoscritte a strutture sanitarie ospedaliere o ambulatoriali. Non si può escludere l’occorrenza di casi isolati non diagnosticati.

In Italia

Nel 1992, il sottotipo Reston del virus Ebola è stato introdotto in Italia da scimmie importate dalle Filippine. Non si sono comunque verificati casi nelle 16 persone venute a contatto con le scimmie infette.

Il ministero della Salute (oggi ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali) ha emanato nel 1995 una circolare  contenente le linee guida per la prevenzione e il controllo delle febbri emorragiche (Ebola, Marburg e Lassa). Successivamente, nel 1998, è stata pubblicata un’altra circolare con i provvedimenti da adottare nei confronti di soggetti colpiti da alcune malattie infettive (tra cui Ebola) e dei loro conviventi o contatti per evitare la diffusione della malattia. In seguito ai focolai di febbri emorragiche virali registrati in diversi Paesi in tutto il mondo nella seconda metà del 2006, il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) ha definito nuove linee operative e procedure da mettere in atto per la gestione e il trasporto a bordo di aeromobili di eventuali contatti, casi sospetti o confermati, di febbri emorragiche virali nel caso in cui si rendesse necessario il loro rimpatrio.

Nel sistema di sorveglianza delle malattie infettive, la febbre emorragica da virus Ebola è stata inserita nella classe I: ossia, le malattie per le quali si richiede segnalazione immediata o perché soggette al regolamento sanitario internazionale o perché rivestono particolare interesse. I tempi di segnalazione del semplice sospetto di malattia dal medico alla Azienda sanitaria locale sono di 12 ore, compilando una scheda predisposta dal ministero.

Il virus Ebola è stato identificato per la prima volta nel 1976, in occasione di due differenti  focolai epidemici, correlati da punto di vista temporale, in Sudan e nello Zaire; nel Sudan il caso indice riguardò un uomo (che lavorava in una fattoria) che poi divenne la fonte di un più grosso focolaio epidemico in un ospedale. Nello Zaire, invece, il focolaio, sin dall’inizio, interessò una struttura  ospedaliera. Nel 1979, un secondo focolaio apparve nella stessa zona del Sudan e il primo caso era un soggetto che lavorava nella stessa fattoria in cui venne registrato il caso indice nel 1976. Da allora, diversi focolai e epidemie sono stati registrati in Africa fino all’ultima nel 2005 in Congo, per un totale di circa 1.900 casi e 1.300 morti. Sono stati identificati quattro ceppi di virus Ebola: tre hanno causato la malattia negli uomini (Ebola-Zaire, Ebola-Sudan, Ebola-Costa d’Avorio), mentre il quarto ceppo (Ebola-Reston) ha causato la malattia in primati non umani, ma non in uomini.

Non si conosce l’esatta origine e l’habitat naturale dei virus Ebola, sebbene si pensi che la malattia sia delle zoonosi e che i virus vengano mantenuti da uno o più ospiti animali nativi del continente africano.

La trasmissione di entrambe le patologie (FEV Ebola e FEV Marburg) dal serbatoio naturale all’uomo non è nota, sebbene è documentata la trasmissione da scimmie. La trasmissione interumana avviene in seguito a contatto diretto con sangue, secrezioni, urine, organi, liquido seminale di pazienti infetti e a contatti stretti con persone e cadaveri infetti. Il rischio è più alto durante le fasi tardive della malattia quando il paziente vomita, ha diarrea o presenta emorragie. Le infezioni nosocomiali sono state frequenti e la trasmissione per contatto sessuale è stata documentata dopo sette settimane dalla guarigione clinica. In condizioni naturali la trasmissione per via aerea tra gli uomini non è stata documentata.

Manifestazioni cliniche e terapia

Le FEV presentano manifestazioni cliniche simili.

Dopo un periodo di incubazione variabile, (in media 1-9 giorni mentre per il virus Ebola e Lassa può arrivare fino a 21 giorni) le prime fasi dell’infezione sono caratterizzate da sintomatologia non specifica (malessere generale, febbre, cefalea, mialgie, faringite) che rende difficile la diagnosi fin quando non appaiono caratteristiche cliniche più specifiche o quando vengono registrati più casi.

La diagnosi differenziale delle febbri emorragiche virali va posta con tutte le condizioni caratterizzate da febbre, rash, interessamento epatico e/o renale, emorragie. Dovrebbero essere prese in considerazione: la malaria, la febbre tifoide, la febbre gialla, le epatiti virali, la leptospirosi, la sepsi meningococcica e altre sepsi, la febbre reumatica, la mononucleosi infettiva, le infezioni da rickettsie, la febbre Dengue, altre patologie da arbovirus. Una FEV deve comunque esser sempre sospettata in tutti i soggetti con patologie febbrili e evidenza di coinvolgimento vascolare, che hanno soggiornato in aree epidemiche.

Febbre emorragica Ebola

Rapida insorgenza di febbre, cefalea, malessere generale, artromialgie, iniezione congiuntivale, che , tipicamente si accompagna a faringodinia con marcato edema dei tessuti molli del faringe, disfagia e, nei casi più gravi, dispnea. Successivamente insorgono vomito, diarrea accompagnata da crampi addominali, manifestazioni cutanee di tipo maculo-papuloso che coinvolgono tutto il corpo, associate spesso ad enantema del palato, congiuntivite, segni di coinvolgimento renale ed epatico, diatesi emorragica.

Dopo qualche giorno insorgono linfoadenopatia, disidratazione, bradicardia relativa e cachessia. Possono esser presenti oliguria, edemi diffusi, pancreatite, miocardite ed orchite.

Le manifestazioni emorragiche, che in genere insorgono tra il 5 ed il 7 giorno, coinvolgono più frequentemente il tratto gastrointestinale (con ematemesi e melena) e i polmoni; possono esser presenti petecchie diffuse, ematuria, emorragie a carico di siti di prelievo ematico, epistassi, emorragie gengivali, sottocongiuntivali, vaginali.

Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale si rende evidente con parestesie, letargia, stato confusionale, irritabilità, segni di irritazione meningea.

In Africa il tasso di letalità durante le epidemie di Ebola è particolarmente elevato (50-90%), così come quello durante le epidemie di Marburg (25-80%).

Terapia

Per tutte le febbri emorragiche è necessaria una terapia di supporto che preveda il mantenimento della volemia e dell’equilibrio idro-elettrolitico. Per controllare il sanguinamento si può somministrare plasma, piastrine, sangue.

Può essere utile una copertura antibiotica per la prevenzione di infezioni secondarie. Per il controllo dello shock è consigliabile la somministrazione di dopamina.

I pazienti sono spesso disidratati per la febbre, il vomito e la diarrea, ma rispondono poco alla  terapia infusionale e possono andare incontro ad edema polmonare, coesistendo un impegno del miocardio ed un’ aumentata permeabilità vascolare polmonare.

Un trattamento antivirale specifico in grado di ridurre la letalità, in particolare quando iniziato precocemente, è consigliato solo per alcune FEV anche se la sua efficacia non è stata dimostrata in  maniera definitiva.

Diagnosi

I criteri per la diagnosi delle FEV (Marburg, Ebola, Lassa, Congo-Crimeana) sono essenzialmente gli stessi e si basano, durante la fase acuta, sull’identificazione dell’agente, e successivamente, sulla rilevazione della risposta immune.

Gli esami per la ricerca dell’agente etiologico possono essere eseguiti mediante coltura virale, ricerca degli antigeni, rivelazione degli acidi nucleici e visualizzazione diretta con microscopia elettronica. Attualmente per la diagnosi si utilizzano principalmente i test di biologia molecolare, amplificando mediante RT-PCR classica o Real-Time l’acido nucleico estratto dai materiali biologici. I risultati preliminari si ottengono nel giro di poche ore dall’arrivo del campione in laboratorio e possono essere confermati mediante sequenziamento del prodotto di amplificazione. Inoltre è opportuno, sia per l’eventuale identificazione di nuovi agenti virali che per la caratterizzazione degli agenti identificati, procedere contemporaneamente all’isolamento virale su colture di tessuto.

La diagnosi sierologia è basata sulla ricerca degli anticorpi specifici (classe IgM e IgG) mediante ELISA o immunofluorescenza. Gli anticorpi di classe IgM sono spesso dosabili già durante la fase acuta. Comunque, tali test sono utili, più che per la diagnosi di infezione o il monitoraggio dei contatti durante il periodo di sorveglianza sanitaria, per le successive indagini epidemiologiche atte alla rilevazione di eventuali infezioni asintomatiche o per indagini di sieroprevalenza.

Non esistono test commerciali disponibili per la diagnosi di infezioni da virus delle febbri emorragiche. Tale diagnosi può pertanto essere eseguita solo presso centri di elevata specializzazione, dotati di laboratori idonei alla manipolazione degli agenti di classe 4 e dei necessari materiali di controllo. In Italia al momento l’unico laboratorio di livello 4 autorizzato è quello dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive – I.R.C.C.S. – “Lazzaro Spallanzani” di Roma, il quale provvede anche all’eventuale trasferimento dei campioni agli altri laboratori del Network europeo dei laboratori BL4, per integrazione e conferma dei risultati ottenuti.

Caratteristiche dell’area di degenza

Il reparto ed i locali di isolamento dovranno essere ubicati in edifici separati dal resto dell’ospedale o, almeno, avere un accesso separato e possibilmente un percorso dedicato fino alla stanza di degenza.

L’unità destinata all’isolamento dei pazienti con FEV accertata o sospetta, deve essere costituita da più stanze singole, dotate di servizi igienici e con interfono per le comunicazioni con l’ambiente esterno. Gli operatori dovranno entrare nella zona di isolamento indossando adeguati dispositivi di protezione individuale (DPI). All’interno di tale unità, dovranno essere predisposti locali da adibire a spogliatoio per il personale con docce e lavandini per il lavaggio delle mani.

Nel caso in cui l’accesso alle stanze di degenza avvenga tramite un unico corridoio, è opportuno, per motivi di sicurezza ed esigenze organizzative, evitare il ricovero di pazienti con altre patologie nelle stanze limitrofe.

Le stanze di degenza debbono essere dotate di sistemi monitorati di ventilazione che assicurino una pressione negativa e almeno 6 ricambi di aria/ora.

L’accesso alle stanze di isolamento dovrà avvenire attraverso una zona filtro costituita da una stanza o anticamera a tenuta d’aria, ove le caratteristiche delle strutture lo consentano.

Le zone filtro delle stanze debbono essere a pressione negativa rispetto ai corridoi, dotate di lavandini per il lavaggio e la disinfezione delle mani e dei DPI. L’aria in uscita deve essere sottoposta a filtrazione con filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air).

Il paziente non deve lasciare per nessun motivo la stanza di degenza. Non sono ammessi visitatori nel reparto.

Alle stanze di degenza ad alto isolamento dovrebbe essere collegato un laboratorio di livello BSL-3/4 dove poter eseguire la ricerca del parassita malarico, test ematologici di base, colture batteriche e la preparazione-inattivazione dei campioni biologici per gli esami di biologia molecolare

Personale

L’assistenza ai soggetti in isolamento sarà preferibilmente affidata ad un selezionato gruppo di personale, ben istruito e addestrato sulle tecniche dell’isolamento necessarie sull’utilizzo dei DPI e sulla necessità di un rispetto scrupoloso delle norme di comportamento.
Non possono prestare attività nell’area di isolamento o assistenza diretta al paziente, né manipolare apparecchiature usate per la cura del paziente o campioni biologici del paziente, gli operatori che sono portatori di lesioni essudative o dermatiti secernenti.
Il personale non dovrà prestare contemporaneamente servizio in altri reparti.
Il personale non deve fumare, mangiare o bere nell’area di isolamento.
Non sono necessarie misure contumaciali per il personale di assistenza se vengono seguite tutte le precauzioni di cui alle presenti raccomandazioni.
Il personale di assistenza e il personale di laboratorio che ha esaminato i campioni biologici debbono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria.
Nel caso di incidenti che alterino la continuità della superficie dei DPI (tagli, punture, strappi, lacerazioni, abrasioni accidentali) l’operatore deve uscire appena possibile dall’area di isolamento seguendo le procedure riportate nella sezione “istruzioni per indossare e rimuovere i DPI”.
Nel caso di lesioni alle mani (tagli, punture, abrasioni accidentali) come primo intervento l’operatore provvederà a rimuovere il primo paio di guanti nella stanza del paziente ed il secondo paio di guanti nella zona filtro. Immediatamente dopo deve lavarsi le mani e disinfettare la ferita.

In tutti i casi l’incidente deve essere immediatamente riferito al medico addetto alla sicurezza biologica per le misure di sorveglianza e la gestione del follow-up.

Dispositivi di protezione individuale (DPI) per l’assistenza ospedaliera a pazienti con FEV

Prima di entrare nella stanza del paziente, il personale:

– nella zona filtro al di sopra della divisa di lavoro, dovrà indossare adeguati DPI:

– tuta completa con giunture termosaldate (in Tyvek o materiale con caratteristiche di impermeabilità analoghi,

conformi alla norma EN 14126:2003 per la protezione da agenti infettivi: devono possedere una marcatura CE per la protezione da agenti biologici, ai sensi del D. Lgs 475/92 e/o della Direttiva 686/89 CE, essere classificati in III categoria ed avere la conformità alla EN 14126),

– soprascarpe monouso in plastica,

– un doppio paio di guanti in lattice lunghi (tipo ostetrici),

– (subito prima dell’ingresso nella stanza) una maschera a tenuta che copra l’intera superficie del volto (pieno facciale) dotata di filtro P3; nei casi in cui l’operatore sia portatore di occhiali da vista è possibile ricorrere a caschi o mantelline equipaggiati con filtri P3.

b) Al momento di lasciare la stanza del paziente, il personale:

nella stanza del paziente:

– rimuoverà il primo paio di guanti eliminandoli nell’apposito contenitore;

nella zona filtro

– provvederà a svestire con accortezza i DPI seguendo la procedura prevista,

– il materiale monouso, inclusi i filtri P3, dovrà essere inserito in un doppio sacco di plastica per essere avviato a termodistruzione,

– indossare un nuovo paio di guanti monouso,

– pulire il pieno facciale con un panno imbevuto di soluzione di ipoclorito di sodio; sciacquare con panno ed acqua e asciugarla

– eliminare filtro P3 nel contenitore per rifiuti speciali,

– togliere il pieno facciale,

– mettere il pieno facciale in un contenitore per percolanti per avviarlo a disinfezione,

– togliere le soprascarpe,

– togliere guanti monouso esterni,

– togliere il cappuccio,

– sfilare la tuta facendo attenzione a non toccare le parti interne,

– gettare la tuta nel sacco per rifiuti speciali,

– togliere i guanti interni monouso,

– lavarsi le mani.

Strumentario ed apparecchiature

Dovrà essere evitato lo scambio di strumentario ed apparecchiature in dotazione all’unità di  isolamento con altri reparti dell’ospedale.

Eventuali esami strumentali necessari, come ad esempio esami radiografici, EEG, ECG, devono  essere eseguiti nella stanza del paziente.

Per gli esami radiografici, le cassette radiografiche da utilizzare all’interno delle stanze di  degenza debbono essere ricoperte da tripla busta di plastica sigillata, la prima delle quali andrà rimossa nella stanza del paziente, la seconda nella zona filtro e la terza all’esterno. In caso di contaminazione della busta esterna è necessario procedere nella stanza del paziente alla decontaminazione di essa con  panno imbevuto di ipoclorito di sodio.

All’interno delle unità di isolamento non dovranno essere introdotte cartelle cliniche, penne, taccuini, diagrammi per la registrazione della temperatura e/o di altre funzioni metaboliche, ecc. o altro materiale destinato ad essere utilizzato al di fuori della stessa unità di isolamento.

Per ogni paziente dovrà essere destinato un termometro individuale, contrassegnato da apposita etichetta e conservato in un contenitore con idoneo disinfettante.

Gli stetoscopi e gli sfigmomanometri dovranno rimanere all’interno dell’area considerata infetta.

Lo stetoscopio ed il bracciale dello sfigmomanometro andranno disinfettati, dopo ogni impiego, con idoneo prodotto. Gli altri strumenti riutilizzabili verranno posti, dopo l’uso, in un contenitore con idonea soluzione disinfettante e sterilizzati.

Padelle ed orinali dovranno essere monouso.

Per la scelta dei disinfettanti, si rimanda a quanto riportato nelle Linee guida di comportamento per gli operatori sanitari emanate dal Ministero della Sanità il 28 settembre 1989.

Trattamento e smaltimento dei rifiuti

I rifiuti liquidi e solidi debbono essere decontaminati con soluzioni disinfettanti o per mezzo di riscaldamento a 60°C per un’ora.

I rifiuti liquidi possono quindi essere avviati allo smaltimento secondo la legislazione vigente; i rifiuti solidi debbono essere avviati all’incenerimento secondo la legislazione vigente.

Procedure per il prelievo di campioni di sangue

La ricerca di accessi vascolari per prelievi o per la esecuzione di terapie endovenose deve essere  eseguita con la massima attenzione.

Le procedure previste dalla Precauzioni Standard (già Precauzioni Universali) per aghi e taglienti debbono essere scrupolosamente osservate.

È indispensabile usare sistemi di prelievo a vuoto monouso con provette di plastica.

Ove possibile, sulla base dell’avvenuto addestramento del personale dovrebbero essere utilizzati dispositivi dotati di meccanismi di sicurezza.

Gli aghi ed i taglienti debbono essere posti negli appositi contenitori rigidi e a tenuta di liquido unitamente al supporto senza ulteriori manipolazioni.

In ogni caso si raccomanda di ridurre al minimo gli esami chimico-clinici.

A tale proposito si ritiene che, in aggiunta agli esami necessari per la diagnostica differenziale e salvo particolari indicazioni cliniche, quelli più significativi siano:

– azotemia

– glicemia

– creatininemia

– sodiemia e potassiemia

– attività protrombinica/tempo di tromboplastina/XDP/antitrombina III

– emocromo con formula e conta piastrine

– albuminemia

– AST/ALT

– fibrinogeno

Trasfusioni

Per evitare il trasporto di sangue potenzialmente infetto nei Centri Trasfusionali e la necessità di effettuare il gruppo sanguigno e le “prove crociate” presso i Centri medesimi, qualora si debba procedere a trasfusione di sangue o emazie concentrate, utilizzare sangue proveniente da soggetti di gruppo 0 Rh negativo, Kell negativo. Qualora si debba procedere a somministrazione di plasma fresco, utilizzare plasma proveniente da soggetti di gruppo AB.

Giuseppe Papagni

Fonte:

Il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute

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