Le scale di valutazione sono l’asso nella manica degli operatori sanitari, perché riescono con domande mirate e ridurre tempo e migliorare l’accuratezza della diagnosi o del soddisfacimento del bisogno di quel determinato paziente.
Ce ne sono davvero tante e ogni giorno ne vengono validate ancora altre per rendere la pratica clinico-assistenziale sempre più all’avanguardia. Uno degli ambiti che maggiormente fa uso di queste scale è sicuramente quello neurologico, questo perché le patologie sono tante, ma molto spesso hanno segni e sintomi simili che potrebbero rendere difficile una differenziazione attiva. Tenendo anche conto che in neurologia, come anche in altre specialità, il tempo è salute e bisogna ridurlo al minimo.
Vediamo una alla volta tra quelle maggiormente utilizzate.
GLASGOW COMA SCORE
È molto semplice da utilizzare ed è specifica per valutare lo stato di coscienza del soggetto, non viene solo usata in ambito neurologico (infatti è utilissima durante il soccorso stradale per identificare un paziente in coma o in uno stato di parziale incoscienza). Si effettua la somma dei diversi punteggi ottenuti rispetto a tre categorie: “apertura degli occhi”, “risposta verbale”, “risposta motoria”. Il valore maggiore che si può ottenere è 15 e identifica un paziente cosciente, mentre valori uguali o inferiori a 8 rappresentano uno stato vero e proprio di coma.
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CINCINNATI PREHOSPITAL STROKE SCALE
È una scala di valutazione medica usata per l’identificazione attiva dell’ictus. Si basa maggiormente su tre parametri: “mimica facciale” (importante per identificare una emiparesi del volto), “spostamento delle braccia” (gli arti si muovono in maniera uguale? Uno dei due risulta meno tonico o tende a cadere?), “linguaggio” (il paziente riesce a ripetere delle frasi o degli scioglilingua).
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SCALA DI RANKIN
È utilizzata per l’identificazione dello stato di disabilità di un paziente rispetto alle attività della vita quotidiana. In questo caso si hanno sette livelli di gravità: pz con nessuna sintomatologia, nessuna disabilità nonostante l’evidenza dei sintomi, disabilità lieve, disabilità moderata, disabilità moderatamente grave, disabilità grave e pz deceduto. È molto utilizzata soprattutto durante la degenza di pazienti con pregresso ictus, e non sicuramente in uno stato acuto di patologia appena presentato.
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SCALA DI ASHWORTH
È usata per valutare la spasticità muscolare del paziente in ambito neurologico. Le popolazioni “target” di questa scala solo sicuramente i pz con MS, ictus, lesioni cerebrali o paralisi. I livelli sono essenzialmente 5: “nessuno aumento del tono muscolare”, “lieve aumento”, “aumento più marcato”, “considerevole aumento”, “arto in flessione ed estensione impossibile da mobilizzare anche passivamente”.
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SCALA DI BRADEN
Viene utilizzata in maniera preventiva, per evitare l’insorgenza di lesioni da pressione in pazienti che sono in evidente rischio. Essa conta principalmente 6 fattori: l’attività motoria residua del paziente, l’umidità della cute, la percezione sensoriale, la mobilità, lo stato di nutrizione e l’eventuale frizione o scivolamento della cute sul sostegno di supporto. L’alto rischio viene evidenziato nel caso di punteggio minore o uguale a 6. In questi casi non bisogna solo applicare la scala di Braden a tempo 0, infatti la prevenzione di queste lesioni dovrebbe essere effettuata sempre, con accorgimenti quali la movimentazione del paziente almeno ogni 2 ore, ridurre al minimo l’esposizione della cute ai liquidi biologici, cambio frequente della biancheria e del vestiario, utilizzo di supporti adeguati.
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SCALA DI CONLEY
È uno strumento utile per ridurre il rischio cadute nei pazienti, anche questa volta a rischio. Le domande sono mirate e vengono effettuate direttamente al paziente o ai caregiver. Il senso di questa scala è poter identificare in maniera specifica delle azioni per ridurre questo rischio in ambito di degenza ospedaliera. I valori compresi tra 0 e 1 indicano un rischio minimo, uguale o superiore a 2 indica un pz a rischio.
Sicuramente le cliniche neurologiche usufruiscono giornalmente di questi mezzi per migliorare la pratica clinica, perchè il nostro obiettivo deve essere sempre quello di soddisfare i bisogni del paziente. E se chi ci sta di fronte non ha la possibilità di badare ai propri bisogni da solo o comunque è impossibilitato parzialmente o solo per un determinato periodo?
Noi in quanto professionisti sanitari dobbiamo agire secondo la coscienza e le linee guida sopperendo alle sue mancanze fino a sostituirci a lui se necessario alla sopravvivenza. Non è poco importante ridurre i rischi possibili, perché anche solo in minima percentuale potrebbero far degenerare, un quadro di base già precario, in maniera repentina e irreversibile. Sarebbe utile però poter unificare le scale di valutazione a livello nazionale, in tutti gli ospedali e gli ambulatori specializzati per rendere migliore i risultati in previsione degli obiettivi assistenziali prefissati. Solo unificando queste azioni potremmo mirare al miglioramento comune della pratica clinica rendendo anche più agevole il cambio sede per gli operatori.
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Dott.ssa Taccogna Federica
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