La Corte di Cassazione ha riscontrato gli estremi del paculato nel caso di un infermiere in servizio all’Ospedale Civile di Sulmona (L’Aquila).
“Il possesso qualificato dalla ragione di servizio […] non è solo quello che rientra nella specifica competenza funzionale dell’incaricato del pubblico servizio; la ragione di servizio ha come unico riferimento un rapporto fondato, oltre che sulle norme regolamentari, anche sulla prassi o su consuetudini invalse in un determinato ufficio, in forza delle quali al soggetto agente è consentito, di fatto, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità materiale della cosa, cogliendo l’occasione offertagli dal pubblico servizio esercitato”.
E’ quanto stabilito dalla Cassazione Penale con sentenza n. 6726/2025, che fa riferimento al caso di un infermiere dell’Ospedale Civile di Sulmona (L’Aquila) che si era appropriato di 70 ricette mediche, avendo la disponibilità di ricettari medici in ragione delle sue funzioni. Era risultato, inoltre, che l’imputato aveva compilato false ricette, timbrandole, sottoscrivendole a nome di due dottori, e le aveva presentate in farmacia, ricevendo i farmaci richiesti.
Nel caso di specie l’imputato lavorava come infermiere nel reparto di Medicina e non può essere messa in dubbio la sua qualità di incaricato di pubblico servizio. Proprio in ragione di tale qualità l’imputato – come riferito dai medici ascoltati durante il giudizio – aveva libero accesso alle loro stanze e aveva la disponibilità di quanto in esse riposto. Per la Cassazione, quindi, l’essersi l’infermiere appropriato dei ricettari, di cui aveva la disponibilità per ragione del servizio svolto, integra il reato di peculato contestatogli.
Un caso analogo era stato già sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione nel 2015 (sentenza n. 35801/2015), allorquando un’infermiera fu dichiarata responsabile di peculato perché, quale infermiera in servizio presso nel distretto sanitario Asl 1 Sassari, in possesso di specialità medicinali (Nicetil fiale e compresse che, ancorché campioni gratuiti, avrebbero potuto essere consegnate solo ai medici), se ne appropriava per cederle a un suo collega, istruttore di body building.
La Corte, in questo caso, ha sostenuto che “i campioncini gratuiti erano consegnati direttamente al medico, dopo aver compilato un registro di scarico, specificante il nome e la quantità dei campioni. Tali campioncini avrebbero potuto essere ceduti ai pazienti, salvo che il medico avesse ritenuto di darli a persone bisognose, cosa che non avrebbero potuto fare l’infermiere e altro personale Asl”, precisando che “con l’acquisizione di tali farmaci l’infermiera traeva un vantaggio economico anche per il mancato pagamento del ticket”. Pertanto anche in questo caso la Corte di Cassazione confermava il reato di peculato nei confronti dell’infermiera.
Redazione Nurse Times
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