Il tempo necessario a indossare il camice, come ogni altra divisa di lavoro, rientra nella diligenza preparatoria all’obbligazione principale del dipendente e non dà titolo a un corrispettivo autonomo
In assenza di una specifica disposizione aziendale, il tempo impiegato dall’infermiere per indossare gli abiti da lavoro prima di timbrare il cartellino, non è pagato come straordinario. A precisarlo è la Cassazione con l’ordinanza 23123/16, pubblicata il 14 novembre, dalla sesta sezione civile.
La Corte di legittimità boccia il ricorso di un infermiere che chiedeva che l’azienda sanitaria presso cui lavorava gli pagasse una retribuzione aggiuntiva per il tempo che ogni giorno impiegava per indossare e dismettere la divisa di lavoro. Secondo il giudice di merito, che respingeva tale richiesta, le attività di vestizione e dismissione erano effettuate all’interno dell’orario di lavoro, poiché si era accertato che il lavoratore timbrava il suo badge prima di indossare la divisa e solo dopo essersi cambiato.
Inoltre, aspetto da non trascurare, il dipendente non aveva offerto la prova che l’azienda avesse imposto ai lavoratori di anticipare l’ingresso per indossare gli abiti da lavoro. L’istanza è bocciata anche dalla Corte di Cassazione che ricorda che “il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio costituisce tempo di lavoro soltanto dove qualificato da una eterodirezione. In difetto di direttive specifiche in tal senso l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo”.
La Corte territoriale ha seguito tale principio, dopo aver verificato che le attività erano eseguite negli orari di lavoro e che non era stato imposto dall’azienda di provvedervi al di fuori del turno di servizio.
Inoltre, il tempo impiegato era stato regolarmente retribuito così come l’esubero di orario collegato alla prestazione di straordinario.
Un “eventuale scostamento orario tra la timbratura e l’orario del turno andava collegato all’attività preparatoria della prestazione e che, in assenza di prova di un’espressa disposizione aziendale, tale attività preparatoria non postulava un ulteriore corrispettivo”.
Il collegio, pertanto, rigetta la richiesta dell’infermiere.
Fonte
www.cassazione.net
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