Home Cittadino Cardiologia Infarto, il rischio di recidiva si riduce del 30% per i pazienti seguiti da infermieri esperti
CardiologiaCittadinoEmilia RomagnaNT NewsRegionali

Infarto, il rischio di recidiva si riduce del 30% per i pazienti seguiti da infermieri esperti

Condividi
Infarto del miocardio dopo PCI: tocilizumab limita i danni
Condividi

Per chi ha già avuto un infarto il rischio di recidiva si riduce del 30% se è seguito da un infermiere esperto. È il risultato del progetto “Allepre”, importante ricerca a livello internazionale per numero di partecipanti, con oltre 2mila persone seguite da infermieri per un periodo continuativo di cinque anni, che ha valutato l’efficacia di un programma di prevenzione secondaria completamente gestito da infermieri esperti insieme ai medici per ridurre nel tempo il rischio di eventi cardiovascolari come infarto e ictus, e di abbassare la mortalità.

Nel progetto sono stati coinvolti sette centri cardiologici dell’Emilia-Romagna: U.O. Cardiologia Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma (capofila), U.O. Cardiologia Ospedale di Vaio Fidenza, U.O. Cardiologia Ospedale Guglielmo da Saliceto Piacenza, U.O. Cardiologia Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, U.O. Cardiologia Castelnovo Monti (RE), U.O. Cardiologia Ospedale di Carpi (MO), U.O. Cardiologia Nuovo Ospedale Civile S. Agostino-Estense, Baggiovara (MO).

“Questo studio – sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Massimo Fabi – ha potuto contare sulla capacità di fare rete della sanità emiliano-romagnola, grazie all’impegno e alle competenze di sette centri cardiologici. La riduzione del 30% delle recidive di infarto comporta una migliore qualità di vita per i pazienti e un impatto significativo sul nostro sistema sanitario”.

E ancora: “Gli infermieri sono un anello importante nella catena della continuità assistenziale, e rivestono un ruolo insostituibile per la cura, l’assistenza e la gestione dei pazienti. Siamo contenti sia dei risultati conseguiti da questa ricerca, sia per il modo con cui è stata condotta, con un grande lavoro di squadra coordinato dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma”.

I risultati dello studio, presentati recentemente al congresso American College of Cardiology a Chicago, evidenziano come l’infermiere sia un elemento cruciale nel percorso di cura: da un lato è il primo punto di contatto con pazienti e famiglie in un momento di particolare vulnerabilità, dall’altro contribuisce a instaurare un rapporto di fiducia per adottare comportamenti più salutari e prevenire le recidive di infarto.

Circa il 20-30% dei pazienti che hanno subito un infarto, infatti, rischia di affrontarne un secondo entro due anni. Nonostante l’adozione di uno stile di vita sano e il controllo dei fattori di rischio siano strategie efficaci contro le recidive, dopo un anno un paziente su quattro interrompe le terapie prescritte.

La ricerca ha coinvolto soprattutto uomini di circa 64 anni, ricoverati per condizioni cardiache gravi quali infarto miocardico acuto o angina instabile. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: uno seguito da infermieri esperti insieme ai medici attraverso un programma strutturato, l’altro curato con l’assistenza standard.

Nel gruppo di intervento i pazienti hanno partecipato a nove sessioni educazionali individuali, durante le quali gli infermieri hanno valutato complessivamente il rischio cardiovascolare, offrendo consulenze mirate per modificare lo stile di vita e favorire l’adesione alle terapie. Un team multidisciplinare composto da diabetologi, nutrizionisti, specialisti antifumo e psicologi ha fornito supporto aggiuntivo in base alle necessità individuali.

Il progetto, nato a cura del professor Diego Ardissino, già primario del reparto di Cardiologia dell’Ospedale Maggiore di Parma, si è sviluppato con la collaborazione della direttrice delle attività didattiche professionalizzanti del corso di laurea in Infermieristica, Rachele La Sala, e dell’infermiere Giuseppe De Stefano, del direttore della struttura di Cardiologia, professor Giampaolo Niccoli, insieme alla ricercatrice Giulia Magnani. Hanno contribuito alla realizzazione dello studio Caterina Caminiti, direttrice della struttura Ricerca clinica ed epidemiologica, e il biostatistico Giuseppe Maglietta.

Redazione Nurse Times

Articoli correlati

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati
CittadinoNT NewsPrevenzione

Sole e caduta dei capelli, un’emergenza silenziosa: come proteggere cute e fusto

L’esposizione prolungata al sole accelera la perdita fisiologica di capelli e danneggia...

NT NewsPiemonteRegionali

Piemonte, sanità in disavanzo per 720 milioni: torna lo spettro del piano di reintro

L’analisi de Lo Spiffero, che proponiamo di seguito, evidenzia le criticità della...